Justin Townes Earl
“Non mi sono dato alla musica
per diventare un musicista blues o un musicista country. Sono un cantautore.
Nel mio libro significa che riesco a fare quello che voglio”
Non è certamente semplice essere
figli d’arte se si vuole intraprendere la stessa carriera del genitore famoso,
soprattutto in ambito artistico.
Non sono molti i casi nei quali il figlio riesce a superare il padre o, per lo meno, a costruirsi uno stile proprio ed un percorso ben definito.
Tra quelli che sembrano avercela fatta c’è Justin Townes Earle, figlio di Steve Earle, cantautore americano rock e country nonché attivista politico della sinistra radicale.
Non sono molti i casi nei quali il figlio riesce a superare il padre o, per lo meno, a costruirsi uno stile proprio ed un percorso ben definito.
Tra quelli che sembrano avercela fatta c’è Justin Townes Earle, figlio di Steve Earle, cantautore americano rock e country nonché attivista politico della sinistra radicale.
Giunto ormai al quarto disco e superata la soglia dei
trent'anni, Justin racconta tutta la sua debolezza, ma anche tutto il suo
desiderio.
Si spazia tra folk, blues e alt country e le chitarre sono
spesso accompagnate da strumenti a fiato tipici della musica di Nashville e del
sud.
La voce e la capacità di interpretazione di Justin, poi, sono forse il punto di forza che ci fa rendere conto di essere di fronte ad un artista completo, capace di travalicare i generi.
Tra chitarre dal tocco nitido, sussulti di contrabbasso e bordoni d'organo dal sapore gospel, il taglio più marcatamente country-folk dei precedenti lavori di Earle torna solo alla fine del disco, con una "Movin' On" che sembra voler prendere in prestito da Johnny Cash il ritmo inconfondibile dell'era Sun Records.
La voce e la capacità di interpretazione di Justin, poi, sono forse il punto di forza che ci fa rendere conto di essere di fronte ad un artista completo, capace di travalicare i generi.
Tra chitarre dal tocco nitido, sussulti di contrabbasso e bordoni d'organo dal sapore gospel, il taglio più marcatamente country-folk dei precedenti lavori di Earle torna solo alla fine del disco, con una "Movin' On" che sembra voler prendere in prestito da Johnny Cash il ritmo inconfondibile dell'era Sun Records.
“Nessuno vuole sentire la canzone di uno che se la passa
meglio di te. Non sono un autore che si siede e scrive. Faccio parte della
categoria che fra i songwriter va sotto il nome di "autore da tovagliolo
di carta" (ovvero chi scarabocchia idee su qualunque cosa abbia sotto mano).
Mentre scrivo metto raramente le mani sulla chitarra.
Assemblo i pezzi piano piano.
A volte ci metto mesi a comporre una sola canzone, perciò
spesso ne lavoro tre o quattro contemporaneamente”
“Voglio essere un songwriter ed è un campo aperto, pieno di possibilità. Significa che finché faccio le cose per bene, posso permettermi di fare quel cazzo che mi pare. È uno dei privilegi di questo lavoro. Quando si tratta di arte, ti detti da solo le regole. Sei tu che scegli il tuo destino. È una delle poche cose che non ho sbagliato nella vita: sono stato in grado di tenere aperte molte opzioni come artista. Ho lasciato che le donne e le sostanze chimiche mi rovinassero la vita, ma non ho mai permesso che qualcosa o qualcuno compromettesse la visione di quel che volevo essere in quanto songwriter”
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