martedì 31 gennaio 2017

lunedì 30 gennaio 2017

Fur - Un ritratto immaginario di Diane Arbus





Un passaggio. Una trasformazione. Quella di Diane Arbus da madre di famiglia&moglie in artista. Fotografa, per la precisione. Nell'America degli anni Cinquanta, l'autonomia della donna è ancora molto limitata. Sono i ruoli che la società le impone ad avere importanza. Diane, infatti, aiuta il marito (fotografo) nella sua attività. Cambia i rullini, veste le modelle, sistema le macchine fotografiche. Figlia di genitori ricchi, Diane ha messo da parte interessi e progetti per badare ai propri figli e assistere il marito nel suo lavoro.
La fotografia è ancora finzione, commercio, falsificazione della realtà a scopi commerciali. La fotografia è pubblicità. Quella delle pellicce della famiglia di Diane.


La svolta narrativa arriva quando nel palazzo dove vive viene ad abitare un nuovo inquilino. Mobili strani e misteriosi portati su per le scale, lo sguardo di Diane che li segue e poi un uomo mascherato. Mistero che attrae, la donna inizia a interessarsi al nuovo venuto. L'unico contatto fino adesso è stato visivo, Diane su un balcone e l'uomo mascherato per strada. I loro occhi si sono incontrati.La musica che arriva dal condotto dell'aria, una matassa di peli nelle tubature, tutto questo porta Diane a prendere coraggio, tirare fuori la vecchia macchina fotografica e salire dall'uomo per scoprire chi egli sia.
La conoscenza di Lionel aprirà a Diane tutto un nuovo mondo. Un'apertura verso pulsioni e piaceri oscuri, uomini e donne deformi, nani e travestiti, un'umanità costretta a nascondersi dal cosiddetto mondo normale. Lo stesso Lionel è un freak, colpito da una strana malattia.Tra i due nascerà un'amicizia che poi sfocerà nell'amore, un legame capace di rimettere in discussione tutte le certezze della donna e a spingerla a trasformarsi in una fotografa che attraverso il suo mezzo espressivo riuscirà a dare nuova luce e direzione alla propria vita.


Un passaggio, una trasformazione. La fotografia diventa ricerca, provocazione, rottura degli schemi.


Un passaggio. Una trasformazione. Quella di Diane Arbus da madre di famiglia&moglie in artista. Fotografa, per la precisione. Nell'America degli anni Cinquanta, l'autonomia della donna è ancora molto limitata. Sono i ruoli che la società le impone ad avere importanza. Diane, infatti, aiuta il marito (fotografo) nella sua attività. Cambia i rullini, veste le modelle, sistema le macchine fotografiche. Figlia di genitori ricchi, Diane ha messo da parte interessi e progetti per badare ai propri figli e assistere il marito nel suo lavoro.
La fotografia è ancora finzione, commercio, falsificazione della realtà a scopi commerciali. La fotografia è pubblicità. Quella delle pellicce della famiglia di Diane.
La svolta narrativa arriva quando nel palazzo dove vive viene ad abitare un nuovo inquilino. Mobili strani e misteriosi portati su per le scale, lo sguardo di Diane che li segue e poi un uomo mascherato. Mistero che attrae, la donna inizia a interessarsi al nuovo venuto. L'unico contatto fino adesso è stato visivo, Diane su un balcone e l'uomo mascherato per strada. I loro occhi si sono incontrati.La musica che arriva dal condotto dell'aria, una matassa di peli nelle tubature, tutto questo porta Diane a prendere coraggio, tirare fuori la vecchia macchina fotografica e salire dall'uomo per scoprire chi egli sia.


La conoscenza di Lionel aprirà a Diane tutto un nuovo mondo. Un'apertura verso pulsioni e piaceri oscuri, uomini e donne deformi, nani e travestiti, un'umanità costretta a nascondersi dal cosiddetto mondo normale. Lo stesso Lionel è un freak, colpito da una strana malattia.Tra i due nascerà un'amicizia che poi sfocerà nell'amore, un legame capace di rimettere in discussione tutte le certezze della donna e a spingerla a trasformarsi in una fotografa che attraverso il suo mezzo espressivo riuscirà a dare nuova luce e direzione alla propria vita.
Un passaggio, una trasformazione. La fotografia diventa ricerca, provocazione, rottura degli schemi.



lunedì 16 gennaio 2017

L'altra parte - Alfred Kubin





Nel 1908, appena trentunenne e disegnatore già noto e apprezzato, Kubin è profondamente scosso dalla morte del padre, che lo coglie in uno stato di tormentosa sterilità succeduto a lunghi periodi di crisi psichica. Per liberarsi dalle visioni che lo perseguitano e a cui, in quelle condizioni di paralisi creativa, non sa dare espressione grafica, egli decide di mettersi a scrivere e, nel giro di dodici settimane, butta giù un romanzo: L’altra parte.


Nelle otto settimane che seguono egli riesce ad aggiungere al libro una cinquantina di disegni. È una discesa agli inferi, e una liberazione. Poco dopo avrà inizio la fase più matura di Kubin, il quale diventerà quel grande disegnatore fantastico, uno dei maggiori del nostro secolo, che entusiasmerà i surrealisti e le cui opere saranno conosciute anche in Italia grazie alla mostra del 1952, organizzata dalla Biennale di Venezia.


Che cos’è Perla, la città immaginaria di Alfred Kubin, lo scenario del suo unico romanzo?
È una città gravata da un mistero permanente, concepita come un mosaico di ruderi, di antichità, di avanzi decrepiti e corrosi del passato, tratti dai più famosi angoli del mondo. È una città artificiale, una messinscena perfetta, nella quale si muove una popolazione di nostalgici, di nevrastenici, di gente che fugge la vita del suo tempo e preferisce crogiolarsi in stati d’animo e sensazioni tra il mistico e l’estetizzante, tra il poetico e il morboso.


 Ma dietro l’apparente grigiore della vita quotidiana di questa città si nasconde un mistero: un sovrano, un essere inafferrabile e proteiforme tiene sotto il suo magico incantesimo uomini e cose, si insinua in esse facendole diventare mere parvenze, e le accomuna in un unico allucinante e assurdo disegno.
Kubin era boemo e il romanzo è impregnato dei chiaroscuri di Praga, luogo d’incontro di una cultura raffinata e stanca di forze brutali: città del Golem e di alchimisti, di anditi oscuri e di pericoli in agguato. È la città di Kafka, il quale conobbe Kubin, l’ammirò e ne subì l’influenza, tanto che nelle sue opere si ritrovano, soprattutto nel Castello, alcuni dei motivi fondamentali di L’altra parte.


Se per Kubin è la storia di una crisi superata, L’altra parte è per noi un libro terribile e profetico. La distruzione della città e del regno immaginario, in un crescendo di incubi apocalittici e attraverso tutte le fasi della disgregazione e della rivolta delle forze naturali scatenate, preannuncia di pochi anni la guerra del ’14 e l’inizio del crollo della vecchia civiltà europea. Kubin visse così a lungo da vedere, nella seconda guerra mondiale, le estreme conseguenze di questo processo.

mercoledì 4 gennaio 2017

Neil Young - Silver & Gold







Silver & Gold appartiene proprio a quella "collezione" di dischi dall'impianto acustico che Neil ama sfornare più o meno con cadenza settennale: Harvest (1972), Comes a time (1978), Old ways (1985), Harvest moon (1992).
Ciò che resta sono dieci canzoni straordinariamente uniformi per taglio stilistico e veste sonora, incise tra il 1997 e il 1998 a formare quello che è probabilmente l'album acustico più omogeno che Young abbia mai confezionato.
Per questo lavoro il canadese ha avuto tutto il tempo di selezionare il materiale vecchio e nuovo a sua disposizione.
Silver & Gold è qui in una scarna eppure efficace versione per solo voce, chitarra e armonica, mentre Razor Love si svolge in tutto il suo quieto splendore per ben sei minuti e mezzo dove la fragile voce di NeiI è accompagnata con garbo dai tamburi di Jim Keltner, dal basso di Donal Duck Dunn e dall'elegante pianoforte dell'esperto Spooner Oldham

Prodotte assieme al fido Ben Keith tutte le canzoni dell'album sono di elevato standard qualitativo e ciò che emerge da subito con l'iniziale Good to see you è un suono estremamente caldo eppure genuinamente roots, nel quale la chitarra acustica ha ovviamente un ruolo predominante.
Silver & Gold ha il pregio di un suono spontaneo, che trasmette chiaramente la natura "live" delle incisioni. In questo modo si può riconoscere come Young abbia cambiato il proprio stile chitarristico sull'acustica, arricchendolo di fraseggi e stacchi ritmici inediti per i suoi canoni espressivi.


Il resto è tutt'altro che ordinaria amministrazione: Buffalo Springfield Again è un quasi allegro quadretto sui bei tempi andati, The great divide e Distant camera (Se la vita è una fotografia che svanisce allo specchio/Tutto ciò che voglio è una canzone d'amore/Una canzone d'amore da cantarti) hanno quel passo tra l'epico e il malinconico delle tante belle canzoni midtempo acustiche che Young ci ha regalato in tutto l'arco della sua carriera.