venerdì 31 maggio 2013



Lo spaccone (1961)



Adattamento dell’omonimo romanzo di Walter Trevis, la pellicola, scritta da Sidney Carroll e Robert Rossen, che ne è anche il regista, narra la storia di un abilissimo giocatore di biliardo, Eddie Felson “lo svelto”, interpretato da un magistrale Paul Newman.
Assistito da Charlie, suo socio e finanziatore, il giovane Felson scommette sulla propria abilità.
I due, dopo un giro della provincia per racimolare abbastanza soldi, giungono in città per sfidare nella famosa Sala Ames, "Minnesota Fats", conosciuto nell'ambiente del pool con fama di giocatore imbattibile.
Dopo un giorno ininterrotto di partite Eddie sembra prevalere, ma lo scontro non è del tutto finito. Eddie, ubriaco e stanco, evidenzia le sue lacune caratteriali e perde in breve tempo tutti i soldi che aveva vinto.
Film realizzato nel 1961 in bianco e nero, con una costruzione narrativa compatta e dialoghi infallibili è rimasto nella memoria degli spettatori soprattutto per la sagace descrizione del mondo americano del biliardo, come apologo sull'America amara e i suoi falsi miti.
Si è guadagnato ben nove nomination agli Oscar, di cui due tramutatesi in premio, ovvero fotografia e scenografia e  nel 1997 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti







giovedì 30 maggio 2013


William Elliott Whitmore - Field Songs 



William Elliott Whitmore vive lontano dai riflettori.
Lontano dai giri dei folk singers tanto di moda tra gli alternativi, lontano dal caos metropolitano che avvelena i polmoni.
Il suo inno alla campagna ha radici profonde che arrivano fino al delta del Mississippi.
Trentacinque anni, bianco e con la voce da nero, ha alle spalle più di dieci anni di carriera musicale ma lavora fin da quando era piccolo con lo zio nella sua fattoria, allevando cavalli e facendo l’agricoltore: una volta era intento a tagliare la legna quando fu avvertito che la compagnia discografica lo cercava al telefono.
Un profilo perfetto per chi e' sempre a caccia di qualche outsider da trasformare in star, ma pare che al buon William non freghi proprio nulla.
Ha finora prodotto album minimali e scarni che vien da domandarsi se non siano stati disseppelliti da qualche archivio storico. Solo chitarra acustica, banjo, voce e qualche sparuto sostegno ritmico di grancassa. Quando suona dal vivo, a volte questa e' sostituita dai tacchi dei suoi stivali, battuti energicamente sul palco.
"Field Songs" è una raccolta di canzoni country-blues sincere, senza fronzoli, solo melodie e parole che richiamano alla vita rurale, ai nativi americani, ai battelli a vapore, ai canti funebri di una natura deturpata che pulsa ancora nei ricordi di chi l'ha vissuta.
C'e' amarezza, come da tradizione blues.
E la vita nei campi sembra l’unica ancora di salvezza dalle comodità odierne.




Quando da ragazzino ti ritrovi a dover tirare il collo ai polli che poi mangerai per cena ricavi una chiara prospettiva della vita e della morte, di come ogni cosa nasca e sparisca seguendo un andamento circolare” 



lunedì 27 maggio 2013



Sam Cooke
 
L’America dei mitici Happy Days, le automobili a coda di rondine, i primi serial tv a colori sbiaditi, la segregazione nelle scuole, perfino i bus divisi per razze e colori della pelle. Gli States e le loro contraddizioni. E in questo clima si inseriva, dal 1951 fino alla sua controversa morte, nel 1964, l’attività artistica del reverendo battista Sam Cooke.
Cooke nacque a Clarksdale, una città che oggi conta quasi ventimila abitanti ma che nel 1933, quando Sam vide i suoi primi giorni di luce, doveva essere più che un anonimo comune dello stato del Mississippi. E questo piccolo centro abitato, soprattutto se confrontato alla vastità del resto della federazione americana, trovò ben presto la sua fama, proprio grazie alla musica di Sam Cooke e di un altro illustre nascituro del luogo, John Lee Hooker, di 16 anni più anziano del reverendo.
E infatti Clarksdale compare a buon diritto sulla Mississippi Blues Trail, un percorso a tappe che attraversa tutti, o quasi, i comuni di origine dei più grandi bluesman del Delta.
La musica di Sam Cooke subisce un mutamento tra il 1950 e il 1951. In precedenza il cantante nero aveva dapprima spostato la sua residenza nella più cosmopolita Chicago. Poi, appena iniziò a cantare all’infuori delle chiese, aggiunse subito la e finale al suo cognome che originariamente era Cook. Questo perché gli conferiva un’aurea più «nobile», diceva.
Sia lui che il suo amico Bumps Blackwell si misero in proprio e iniziarono a produrre diversi singoli sulla scia di quanto era stato fatto nel recente passato. E fu una fortuna.
Il naturale epilogo di tutto fu la nascita della casa discografica SAR Records, di cui Cooke fu il proprietario.
Quello che prediligeva era una cura attentissima ai particolari di arrangiamento e di amalgama dell’orchestra che lo accompagnava. Tipici del doo Wop e anche in parte di Rock&Roll e R&B erano le voci di controcanto, con toni che imitavano le corde di contrabbasso.
Everybody Loves To Cha Cha Cha nacque proprio da una festa di compleanno in cui Sam Cooke, seduto fuori al giardino, ascoltò dei bambini cantare in circolo questo ingenuo jingle. Tornato a casa Sam scrisse il testo che poi divenne un tormentone.
Una volta, dopo aver ascoltato Blowing In The Wind di Bob Dylan, decise anch’esso che era giunto il momento di parlare al mondo, di far capire che le cose stavano male ma potevano di certo cambiare. Da ciò scaturì una delle pagine più belle e vissute della carriera di Cooke, “A Change Is Gonna Come”, che venne inserita nel film Malcolm X di Spike Lee.
Prese anche parte attiva nel Movimento per i Diritti Civili (American Civil Rights Movement), usando le proprie capacità musicali per creare legami tra il pubblico di colore e il pubblico bianco.
Nel 1964, all’apice della sua carriera, ha appena 33 anni: ha divorziato da poco in seguito alla tragica morte del figlio di un anno, ed è alla ricerca di distrazioni. A una festa conosce una giovane donna bianca e se la porta in un motel. Una volta arrivati in camera i due litigano e lei scappa nella reception per chiamare qualcuno che la venga a prendere: la proprietaria dell’hotel, attirata dalle grida e vedendo un uomo nero furioso con una donna bianca, lo scambia per un violentatore e tira a fuori il fucile che tiene sotto il bancone. Le sue ultime parole saranno “Signora, lei mi ha sparato!”. La signora non verrà mai condannata, perché l’omicidio viene classificato come un incidente da legittima difesa.
Se Aretha Franklin, James Brown, Ray Charles e tantissimi altri cantanti soul hanno trovato il successo, questo è soprattutto dovuto all’impronta e all’influenza che questo straordinario compositore e vocalist di colore diede con la sua musica. 


domenica 26 maggio 2013



Uomini e topi – John Steinbeck


Romanzo breve dello scrittore statunitense John Steinbeck pubblicato a New York nel 1937 e tradotto in italiano da Cesare Pavese per Bompiani.
George Milton e Lennie Small vengono assunti come braccianti stagionali in California.
George ha promesso alla zia di Lenny di prendersi cura di lui, ritardato mentale e con una forza incontrollabile, ma grande lavoratore.
Entrambi hanno un sogno: un giorno con i soldi guadagnati, comprare una piccola casa con pochi animali ed un campo per lavorare e passare un’esistenza serena.
Riconducibile agli anni successivi della Grande Depressione americana del 1929, l’autore offre al lettore una storia che ben delinea la povertà, il dramma ed il grande esodo dei braccianti agricoli, costretti a muoversi da una fattoria all’altra alla ricerca di lavoro.

domenica 12 maggio 2013




Giorno maledetto (1955)


Le vicende del film si svolgono nell'arco di 24 ore, due mesi dopo la fine della seconda guerra mondiale (autunno del 1945), a Black Rock, una piccola e desolata località in un regione deserta degli Stati Uniti sud-occidentali.
Per la prima volta, dopo quattro anni, un treno passeggeri si ferma nella locale stazione e ne scende John Macreedy (Spencer Tracy), un uomo anziano e con una menomazione al braccio sinistro.
E’ accolto da un clima di generale e indifferenziata ostilità che si farà via via sempre più mirato, trasformandosi in odio, una volta venuto alla luce il motivo della sua visita.
Giorno maledetto (Bad Day at Black Rock) è un film del 1955 diretto da John Sturges.
E' considerata una delle sue migliori pellicole.
Una sorta di western contemporaneo, di grande tensione, con una narrazione eccellente e un’ottima fotografia.
Spencer Tracy risulta monumentale nel suo ruolo.
Il film è stato sceneggiato da Don McGuire e Millard Kaufman ed è tratto dal racconto "Time Bad Honda" di Howard Breslin apparso in The American Magazine del gennaio 1947



sabato 11 maggio 2013



Violent Femmes


Basta spostarsi nella città più grande del Wisconsin, Milwaukee.
Per le strade, nei caffè, tre ragazzi scapestrati si divertono a giocare con le mode del tempo, trasformandole in qualcosa di proprio, di unico. Una maniera talmente conservatrice di rivedere le più antiche tradizioni musicali americane, da risultare, alla fine, tremendamente rivoluzionaria e innovativa.
L’umiltà di suonare il country, il folk con strumenti volutamente approssimativi diventa, così, la chiave per mettere un nuovo tassello sonoro alla parola punk.
Tre ragazzi poco più che ventenni hanno la giusta dose di rabbia e frustrazione per dare voce, con povertà acustica e devianza elettrica, ai disagi post-adolescenziali della propria generazione.
Vecchie, nuove patologie di provincia trovano, così, il giusto, psicotico sfogo sonoro in barba alle ragazzine innamorate di Le Bon.
Signore e signori, i Violent Femmes.
Milwaukee, Wisconsin. Nel 1980, Brian Ritchie e Victor DeLorenzo decidono di formare un gruppo.
Ritchie, polistrumentista influenzato dal virtuosismo eclettico di Jaco Pastorius, suona un basso dall’andamento vibrante, quasi mariachi.
De Lorenzo - origini siciliane - si accontenta, invece, di giocare con due semplici spazzole e un secchio.
Passa un anno e il duo diventa trio. Figlio di un predicatore battista, Gordon Gano è poco più di un chitarrista dilettante con aspirazioni da songwriter. Innamorato della poesia decadente e nichilista di Lou Reed e dell’eccentricità bizzarra di Jonathan Richman, Gano muta rapidamente il perno attorno al quale gira la band e diventa, di fatto, la mente e il cuore dei neonati Violent Femmes.
Lo strambo nome (in molti sostengono proveniente da una marca di assorbenti) viene preso da un’espressione slang di Milwaukee, che indica i travestiti che si prostituiscono per le strade. E non vi potrebbe essere nome più azzeccato perché i tre ventenni suonano soprattutto negli angoli delle strade o nelle coffee-house della città. Come, d’altronde, la loro stessa musica, che attinge dalla tradizione folk americana rigorosamente acustica, volutamente artigianale, diretta e approssimativa.
Musicisti da strada per musica da strada. Fino al 23 agosto del 1981. Un giorno solo apparentemente uguale a tutti gli altri.
I Violent Femmes stanno suonando in un angolo davanti all’Oriental Theatre dove, di lì a poche ore, si esibiranno i Pretenders.
Il chitarrista della band inglese, James Honeyman-Scott, si trova per caso a passare per quell’angolo e rimane folgorato dal talento spartano dei tre. Chrissie Hynde invita, così, il gruppo ad aprire, con un breve set acustico, la successiva data a New York. Ed è soltanto l’inizio della favola, perché, nella Grande Mela, il pubblico reagisce entusiasta.
Passano alcune settimane e quelli che fino a pochissimo tempo prima erano busker insolenti e strampalati diventano una band vera e propria, con un contratto discografico per una delle etichette più attive in campo new wave, la Slash Records.
Nel luglio del 1982, i Violent Femmes si chiudono nei Castle Studios della piccola città di Lake Geneva, Wisconsin, per registrare, insieme al produttore Mark Van Hecke, il loro omonimo disco di debutto.
Dieci canzoni per poco più di quaranta minuti di musica che, tuttavia, provocheranno uno scossone fortissimo nel panorama underground americano.
Violent Femmes” viene pubblicato alla fine di novembre e, con gli anni, diventerà uno dei più acclamati album di debutto della storia del rock.
Non raggiungerà mai una massiccia fama, ma potrà vantare uno strano record: ricevere il disco di platino dieci anni dopo la sua uscita nei negozi.





domenica 5 maggio 2013



Cavalli selvaggi – Cormac McCarthy (1992)


Texas, 1949.
Lacerato ogni legame che lo stringeva alla terra e alla famiglia, John Grady Cole sella il cavallo e insieme all'amico Rawlins si mette sull'antica pista che conduce alla frontiera e più in là al Messico, inseguendo un passato nobile e, forse, mai esistito.
Attraverso la vastità di un territorio maestoso e senza tempo, i due cowboy, cui si aggiunge il tragico e selvaggio Blevins, intraprendono un viaggio mitico che li porterà fin nel cuore aspro e desolato dei monti messicani.
Una terra dominata da albe e da tramonti senza fine, dall'odore della pioggia sulla sabbia del deserto e dal vento freddo che scende dalle mesas.
Una terra sulla quale la tragedia aleggia preponderante e ossessiva ad ogni pagina, condotta, in modo ipnotico e ossessivo, da un autore che sembra possedere la grazia degli dei.
 Qui la vita sembra palpitare allo stesso ritmo dei cavalli bradi.
 Con una narrazione che all'asciuttezza stilistica di Hemingway unisce la ritmicità incantatoria di Faulkner, McCarthy strappa al cinema il sogno western e lo restituisce, con sorprendente potere evocativo, alla letteratura.


sabato 4 maggio 2013



Otis Gibbs


Racconta di avere piantato oltre 7.000 piante, avere dormito nelle "Giungle Hobo", camminato con i pastori nomadi sui monti della Carpazia, di essere stato perquisito da "poliziotti infedeli" a Detroit e di essere schedato da parte della FBI. Ma anche di avere suonato a raduni sindacali nel Wisconsin, proteste anti-guerra in Texas, Austria e nella Repubblica Ceca e festival musicali in tutto il mondo. Negli ultimi quindici anni ha girato gli Stati Uniti e il mondo per portare il messaggio della sua musica in ogni dove.
Ha trovato anche il tempo di realizzare almeno sei album, gli ultimi tre in modo quasi professionale, anche se, sempre, con pochi mezzi.
Il nostro amico fa della musica country, sia pure con mille sfumature mai troppo smaccatamente inquadrato nei parametri. Ci sono poi molte sfaccettature che contribuiscono al complesso della sua musica: la voce grave è di uno che ha vissuto, ha raccolto le sue esperienze, le ha metabolizzate e le ha fatte divenire canzoni.
Una capacità melodica rare anche tra i suoi colleghi migliori, una scrittura semplice ma raffinata che ingloba tra le sue influenze "nascoste" il boom chicka boom di Johnny Cash, lo swamp rock delle paludi dei Creedence, le piccole storie dell'America di Steve Earle, lo spirito di Woody Guthrie.



"Quindi la musica indipendente e i musicisti hanno un ruolo importante nella società?
Penso proprio di sì, è l'idea del piccolo businnes che è molto importante e della vicinanza alle persone. È lo stesso principio che differenzia le grosse catene commerciali di qualsiasi tipo, pensa a Starbucks in America, dalle piccole attività. A me ad esempio non piace comprare delle cose in posti così anonimi, io voglio comprare qualcosa dalla gente che in qualche modo crea quell'oggetto; tu compri direttamente da chi ha creato quello, paghi qualcosa che il negoziante ha fatto o vende al meglio delle sue possibilità."





"È difficile portare avanti questo tipo di vita?
A volte sì, a volte no … è ciclica la cosa. Sei continuamente "su e giù", oltre che dai treni, anche a livello economico … a volte è dura, a volte no. Lo stesso per i viaggi a volte non sono assolutamente confortevoli, a volte invece i soldi sono abbastanza per viaggiare comodamente."