L’ultimo spettacolo (1971)
Ad Anarene cittadina da western, in Texas, le giornate si susseguono
nell’alternarsi tra la sala da biliardo, la tavola calda, e il cinema. Il
principale argomento di discussione è rappresentato dalle partite della squadra
di football. Tutti sanno tutto di chiunque, le voci si diffondono
istantaneamente e non esistono segreti. La sonnolenta routine quotidiana si è
appiccicata addosso agli adolescenti e non ci sono sogni ne vie di fuga da una
quotidianità opprimente e meccanica.
Essi vivono staticamente il proprio presente, trascinandosi
tra modesti divertimenti e trasgressioni sessuali.
"The Last Picture Show", secondo lavoro del
regista Peter Bogdanovich, sta tutto
qui.
Non accade molto a conti fatti. Eppure, "in questa pigra quotidianità consumata senza più
illusioni, si può ritrovare interamente la storia, la vita, la letteratura e il
cinema d'America" .
Bogdanovich ricalca l’ambientazione degli anni cinquanta optando
per un bianco e nero sgranato e anacronistico, consigliato dall'amico Orson
Welles.
Se la struttura del film è solidamente improntata su certi temi del cinema di genere Fordiano (la
cittadina di confine, il cowboy nostalgico e solitario, lo scemo del villaggio,
il saloon, la visione misogina dell'universo femminile) il regista si impegna a
ribaltare tutte le aspettative dello spettatore, spiazzando e complicando le
cose.
In quasi tutto il film le bellissime musiche di sottofondo provengono
da una radio, da un juke box e da un giradischi portatile.
"L'ultimo spettacolo" è
un film sulla fine dei sogni, sulla fine del cinema, e, forse, sulla fine
dell'America.
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