sabato 13 aprile 2013



L’ultimo spettacolo (1971)


Ad Anarene cittadina da western, in Texas, le giornate si susseguono nell’alternarsi tra la sala da biliardo, la tavola calda, e il cinema. Il principale argomento di discussione è rappresentato dalle partite della squadra di football. Tutti sanno tutto di chiunque, le voci si diffondono istantaneamente e non esistono segreti. La sonnolenta routine quotidiana si è appiccicata addosso agli adolescenti e non ci sono sogni ne vie di fuga da una quotidianità opprimente e meccanica.
Essi vivono staticamente il proprio presente, trascinandosi tra modesti divertimenti e trasgressioni sessuali.
"The Last Picture Show", secondo lavoro del regista  Peter Bogdanovich, sta tutto qui.
Non accade molto a conti fatti. Eppure, "in questa  pigra quotidianità consumata senza più illusioni, si può ritrovare interamente la storia, la vita, la letteratura e il cinema d'America" .
Bogdanovich ricalca l’ambientazione degli anni cinquanta optando per un bianco e nero sgranato e anacronistico, consigliato dall'amico Orson Welles.
Se la struttura del film è solidamente improntata su certi temi del cinema di genere Fordiano (la cittadina di confine, il cowboy nostalgico e solitario, lo scemo del villaggio, il saloon, la visione misogina dell'universo femminile) il regista si impegna a ribaltare tutte le aspettative dello spettatore, spiazzando e complicando le cose.
 In  quasi tutto il film  le bellissime musiche di sottofondo provengono da una radio, da un juke box e da un giradischi portatile. 
 "L'ultimo spettacolo" è un film sulla fine dei sogni, sulla fine del cinema, e, forse, sulla fine dell'America.
 


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