mercoledì 6 aprile 2022

Va' e vedi - Ėlem Germanovič Klimov (1985)

 


Il titolo originale del film doveva essere "Uccidi Hitler". Ma per una serie di motivi, anche politici, Klimov non poté usare quel titolo, allora trovò ispirazione dall'Apocalisse di Giovanni: "Poi vidi, quando l'Agnello ebbe aperto l'uno de' sette suggelli; ed io udii uno de' quattro animali, che diceva, a guisa che fosse stata la voce d'un tuono: Vieni, e vedi. E quando egli ebbe aperto il secondo suggello, io udii il secondo animale, che diceva: Vieni, e vedi. E quando egli ebbe aperto il terzo suggello, io udii il terzo animale, che diceva: Vieni, e vedi. Ed io vidi, ed ecco un caval morello; e colui che lo cavalcava avea una bilancia in mano. E quando egli ebbe aperto il quarto suggello, io udii la voce del quarto animale che diceva: Vieni, e vedi".

Siamo in Bielorussia ed è il 1943. La guerra è in corso e i nazisti stanno facendo razzie (distrussero, devastarono e bruciarono più di 600 villaggi in quella zona). I partigiani resistono, a modo loro. "Va' e vedi" racconta il viaggio allucinato negli orrori della guerra di Flyora (Florian) Gaishun, un inferno senza speranza alcuna, nella tipica struttura dell’anabasi. Florian vive in povertà con la madre e le due sorelle, unico uomo di casa decide comunque di abbandonare la propria famiglia per unirsi ai partigiani.

È Klimov stesso a dire in più interviste quanto di personale ci sia negli episodi raccontati: "Sono stato all'inferno quando ero bambino; la città era avvolta in fiamme che arrivavano fino al cielo. Bruciava anche il fiume, perché i bombardamenti tedeschi avevano bruciato qualcosa che trasportava petrolio. Era notte, le bombe esplodevano e le madri coprivano i figli con le lenzuola che avevano e poi si sdraiavano sopra di loro". E ancora "[…] Era un qualche tipo di riflesso di come sentivo le mie emozioni durante la guerra. O, si potrebbe dire, della mia infanzia in tempo di guerra. Perché quando la guerra iniziò avevo solo otto anni. Sono nato e cresciuto a Stalingrado, perciò molti dei miei amici e conoscenti, come me, hanno vissuto tempi davvero duri. Dovevamo lavorare molto, sentivamo la sofferenza umana. Questi erano i miei ricordi di guerra, ricordi che resteranno sempre con me e sono sicuro che, in un modo o nell'altro, sono riflessi nel film ’Va' e Vedi’".

Tutt'attorno alla piccola recluta, avanza un trionfo della morte di proporzioni bruegeliane, convulso e solenne ad un tempo. Si tratta di giorni, forse settimane, ma il suo volto di bambino fa in tempo a invecchiare in maschera statuaria, il terrore ne sfregia la pelle, già decrepita, ne paralizza lo sguardo, d'orbite vuote, ne pietrifica i lineamenti, a nervi spezzati, e lo lascia folle, quasi esanime, a urlare muto, laocoontiano. La sospirata avventura militare, abbracciata con tanto entusiasmo nell'incipit, lo disintegra in tutto e per tutto, congelando l'idiozia suicida del sorriso iniziale in rictus nervoso, come un'ultima, beffarda ferita su un volto divenuto esso stesso cicatrice.


In Va' e vedi si fa terra bruciata di molta retorica da war drama, non esistono eroismi ammissibili, né s'intuiscono vie di scampo, consistendo l'azione d'inutili fughe e d'effimeri rifugi. Come in Apocalypse Now, la guerra è uno stato disturbato della mente, l'orrore umano il suo distillato; come ne La sottile linea rossa, alla distruzione generalizzata risponde il canto straziato di una natura edenica e remota; ma nel suo realismo viscerale, nel vivido soundscape e nell'allucinato espressionismo dei suoi attori (tutti non professionisti), il furioso requiem di Klimov non ha pari. La folta aneddotica sul film racconta di scene girate con uniformi originali e armi autentiche, con proiettili veri che passavano dieci centimetri sopra le teste degli attori, e sedute d'ipnosi per il piccolo protagonista, (in)utili a fargli dimenticare le scene più efferate affrontate sul set. 

Il tentativo spasmodico di giungere al massimo grado di realismo possibile, esso stesso a prova di morte, apporta al film una potenza drammatica inusitata, che trova il suo culmine nell'intensissimo uso del sonoro - si guardi quando calano le prime bombe, di come dal boato avanzi un fischio persistente, assordante, appena screziato dalla voce del ragazzo, inudibile persino a se stesso, e di come segua, nella scena dell'impantanamento dantesco, l'inestricabile selva sonora: un mostruoso frastuono di ronzii, latrati, brandelli di classica, litanie, drones e strépiti d'uccelli, come acufeni incurabili di un mondo ferito a morte. Così il traumatico realismo delle sparatorie, vere e proprie allucinazioni da guerra fredda con quell'artiglieria da incubo, o l'agghiacciante istrionismo del costrutto emotivo, squassato da pianti improvvisi e risate isteriche. Il formalismo visivo non è da meno, con la fotografia a illividirsi insieme al crescendo drammatico e i poderosi pianisequenza a richiamare i sublimi tempi di Tarkovskij. Come il rogo finale che chiudeva Sacrificio, l'ultimo capolavoro di Tarkovskij, così, in quest'altissimo esempio di cinema antimilitarista (e antifascista), un incendio inestinguibile suggella il momento terminale di tutta una filmografia, marchiando a fuoco l'ultima opera realizzata da Klimov, ritiratosi poco dopo. Benché l'edizione italiana sia mutila di una ventina di minuti, Va' e vedi merita ad ogni modo di esser (ri)visto: a tutt'oggi, le braci di questo film dilaniante e inesorabile non smettono di bruciare.


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