Good, uscito nel 1992, è una meteora fiammeggiante nel panorama rock mondiale. La sua originalità consiste in un attingere poliedrico alle tonalità più sensuali del blues, alle frenesie del rockabilly, ai bollori della musica jazz e alle ombrosità della new wave.
Il trio dei
Morphine è unico nella sua formazione: dal 1993 Billy Conway sostituisce Jerome
Deupree alla batteria, Dana Colley accende con un lirismo pieno di condanne il
suo sax baritono mentre Mark Sandman impugna un basso fretless (senza tasti o a
due corde) e canta. La sua voce ha toni sexy e audaci, oscuri come il
sangue amaro.
Il sound dei Morphine si basa su una micidiale assenza: la chitarra. Prendiamo l’emotività del blues, il suo dolore, quello struggimento così profondo da scuotere silenziosamente le cavità dei nostri tessuti più rossi, pulsanti e irrorati. Limiamone gli artigli. Svuotiamolo della sua carica emotiva, lasciando solamente quell’insieme potente di provocazione ed energia.
Mark Sandman è un antidivo: muore sul palco di Palestrina nel 1999, stroncato da un infarto. Personaggio criptico e sognatore, sfugge alle luci del jet set che avrebbero reso iconoclastiche le figure di Jeff Buckley e Kurt Cobain. Ne condivide la malinconia e il dolore, il profetico senso di devastazione. Ne differisce per inaffidabilità, volubilità e disinteresse rispetto alle promesse del sistema. Un artista consacrato alla sua musica, introverso e consumato da una rabbia incolore, dall’ansia di realizzare cose grandi.
Good è erotico e fisico, come tutta la trilogia di album (Good, 1992 – Cure for Pain, 1993 – Yes, 1995) partorita dalla band di Boston. E' il sonno che si perde, i compromessi sputati insieme alle cose andate storte.
L’originalità della produzione dei Morphine ha il retrogusto dolceamaro dei patti stretti con il diavolo: il costo dell’ambizione, il prezzo della cura al dettaglio, la spasmodica indagine delle pieghe nere del nostro cuore. Taciute, edulcorate, imborghesite e minimizzate.
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