Forse ha qualcosa fra i denti. La cassiera del cinema, con la tinta ai capelli appena fatta, fa passare la lingua fra i canini. Esile, sulla sessantina, ha quasi finito il turno. Asciuga la saliva sul palato, poi guarda sopra le lenti verso la porta «Lo vedi quello? È un infermiere del Policlinico, viene qui tutti i giorni, sta una mezz’ora e poi se ne va».
Di fianco al bancone l’etichetta ingiallita di Femmina in calore svetta da una pila di vecchie pizze di pellicole porno, poco distanti un distributore automatico di merendine e un paio di divanetti neri in finta pelle. «A Milano» - pronuncia con un accento del nord - «sono più seriosi, qui a Roma sono bamboccioni. Nullafacenti, che girano per la strada in un via vai continuo. Un tempo sì che erano seri, i cinema porno».
Nell’Italia di un tempo i cinema a luci rosse, e rispettivi clienti, erano circa dieci volte di più. Oggi il censimento, che avviene grazie alla rete e agli utenti che ne aggiornano l’elenco, conta una quarantina di superstiti, spesso balzati all’onore delle cronache per giri di prostituzione e spaccio.
La programmazione non prevede interruzioni, non c’è pubblicità prima o dopo, i film vintage anni ’80 e ‘90 non hanno titoli di coda alla fine. Ruotano senza interruzione a volume basso, quasi ovattato.
Poltrone di velluto sbiadito accolgono anime affannate, voci e ginocchia, cinture che si slacciano e cerniere con la zip. Il prezzo del biglietto è sui 7,50 euro, in qualche sala ancora trovi la riduzione per militari e pensionati.
Alcuni si sono trasformati in gallerie d’arte, festival musicali, teatri, occupazioni, supermercati, luoghi di proiezioni d’essai, e qualcuno, per una strana analogia, perfino in studio oculistico.
GLI ANNI D’ORO E OGGI - Negli anni ottanta i cinema della capitale erano quattordici: l’Aniene, il President, il Moderno, il Modernissimo, l’Avorio e tutti gli altri. Ora ci sono l’Ambasciatori in zona Stazione Termini e l’Ulisse in via Tiburtina, due società diverse ma stesso proprietario. «Questi posti man mano si sgretolano. Fra sei o sette anni, qui non ci sarà più nulla, mannaggia a me» racconta il cassiere del cinema Ulisse «qui ce vengono ministri, preti, pensionati, tanto per di’ eh. Economicamente stanno bene, c’è chi ci viene anche tutti i giorni, c’era uno che veniva in treno da Latina. Hanno un rapporto di confidenza, sono affezionati. Sottinteso, non raccontano mai la loro vita privata. Ci vengono tanti rumeni e ragazzi stranieri, si fanno pagare il biglietto, entrano e poi nun so. Ci stanno anche i carabinieri che con la scusa dei controlli poi si fanno dare le tessere omaggio, e te che fai? Nun gliele dai?». A sorpresa, l’ora di punta è dalle 10 alle 14.30, dopo le 7 non c’è quasi nessuno.
A Roma le pellicole 35mm, cambiate ancora manualmente alla fine di ogni proiezione, vengono acquistate direttamente dal cinema. In questo modo rispetto alle dinamiche commerciali di altri film proiettati, l’utile che va alla casa di distribuzione anziché essere intorno al 60%, scende al 15.
«Ci vengo per trasgredire. É osceno, lo ammetto» confessano gli occhi cerulei di Antonio prima di entrare in sala «La scusa è sempre la stessa: straordinari al lavoro. Anche se mia moglie mi ha trovato il biglietto nei pantaloni prima di far la lavatrice. Ci sto poco» promette «entro, mi metto in fondo alla sala in piedi per vedere chi c’è e chi non c’è, anche se sono quasi sempre facce note. Qualcuno guarda, qualcuno fa, qualcuno esibisce. Quando l’atmosfera si scalda si va di sopra, in galleria o, ancora meglio, nei bagni».
Intanto in sala Damiano, la maschera dell’Ambasciatori, bassino e muto come una sfinge, stacca i biglietti e ogni venti minuti si fa trascinare dalla torcia nel buio. Nel fumo albuminoso di qualche sigaretta vietata, scorge masturbazioni dentro e fuori la scena fra i rumori di amplessi fasulli e schiere brune nell’ombra. «Girano come trottole, se tu li lasci fare si ammucchiano in galleria, e allora devi andare con la torcia. Appena giri l’angolo, si rimettono in mucchio. Se li becchi, a masturbarsi a vicenda, poi glielo devi dire di andarsene. Sempre per cortesia, eh... Che poi magari poi ti fanno il dispetto e sporcano».
I RICORDI - «Che nun me li ricordo? Giovani e vecchi ben vestiti, qualche donna» racconta il barista del caffè di fronte allo storico cinema Avorio nel quartiere del Pigneto, che oggi conserva solo l’insegna e forse diventerà la sede di rassegne cinematografiche d’essai. «Lì» - indica poco lontano dalla macchina del caffè - «ci stava il telefono, e li sentivi chiamare la moglie. Dicevano ‘guarda che ho bucato, sto a cerca’ il gommista’. Poi entravano dentro. Un tempo lavoravo di più, il 50% dei miei clienti veniva da lì». Poco lontano alle prese con l’abbacchio, il macellaio dell’angolo rimpiange i bei tempi andati: «Al porno ci andavo in compagnia, da regazzino, all’Ambra Jovinelli. Andavo a vede’ Sordi, Totò, poi c’era lo spogliarello e quindi il film porno. Insomma mica c’era internet, ti portavi un pezzo di pizza, metti che te veniva fame... Te mettevi in prima fila, perché nelle ultime ce stavano le checche e le marchette. La programmazione delle sale a luci rosse stava nell’ultima pagina del Messaggero, appena sotto quella delle sale parrocchiali. Ora più nulla, sono destinati a morire, o troveranno altre vie»-
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