Il settimo album discografico di Lucio Battisti, pubblicato nel
novembre 1972, estende
gli orizzonti della canzone tanto dal punto di vista musicale quanto dal punto
di vista lirico e tematico, e si rivela uno dei lavori-cardine della sua
carriera, il disco in cui la coppia Battisti-Mogol raggiunge una simbiosi
perfetta e un'unità di intenti totale.
L'amore è ancora il tema
portante, ma viene indagato sotto differenti prospettive: centrale diviene il
tema della libertà dell'individuo, e si insiste sui risvolti psicologici più
complessi del rapporto uomo-donna. Dal punto di vista musicale, Battisti si
conferma autore di grandissimo talento e soprattutto grande stratega della
melodia: "Suono per ore finché mi accorgo di aver messo insieme una
melodia e attorno a questa trama lavoro finché non mi accorgo di aver trovato
il motivo giusto".
L'introduzione di archi, diretti da Giampiero Reverberi, apre il
lavoro con "La luce dell'Est", brano fra i più riusciti di tutto il
suo repertorio,che parla di amore senza confini, di viaggi, di allontanamenti, che
dispensa, in un crescendo di violini, uno dei ritornelli più memorabili dello
stivale.
Io vorrei…non vorrei…ma se vuoi è un altro caposaldo della discografia battistiana è l’invito a
lasciarsi andare all’amore, perché, anche se il passato è doloroso, uno scoglio
non può arginare il mare.
Ma non mancano altri pezzi di grande qualità: "L'aquila"
(già interpretata da Bruno Lauzi), che svela ancora una volta l'anima
hippie-ecologista della coppia, "Vento nel vento" (forte di un testo
stupendo e di un'interpretazione al solito eccezionale per intensità e pathos),
nonché,la title track.
"Il mio canto libero" è un pezzo dall'anima soul, costruito su di una
melodia in crescendo particolarmente riuscita ed emozionante: rimarrà uno dei
suoi capolavori, uno di quei pezzi che hanno veramente innalzato la canzone
melodica italiana al rango di arte superiore.
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