Gli uomini, tutti neri, sono chini e muti. Indossano pantaloni blu, casacche bianche o celesti, usano guanti gialli. Calzano stivaloni di gomma, in capo quasi tutti hanno calati logori cappellacci di paglia o berretti da baseball, qualcuno non smette il poco raccomandabile cappuccio della felpa. Se non fossero tenuti sotto tiro dalle guardie a cavallo sembrerebbero immigrati arruolati nella raccolta dei pomodori in Puglia. Dalla strada sterrata, senti solo qualche colpo di tosse provenire dal profondo del campo o qualche prolungato mugolio o sbuffo prodotto dallo sforzo dei più corpulenti nel momento d’alzarsi e deporre le grosse rape nei secchi; a fare attenzione il vento caldo porta a folate le note d’un soffocato canto lontano, laggiù nel campo – ma forse sono solo i fantasmi di questa ex piantagione, una delle più infami del Sud e della Louisiana, coltivata da schiavi provenienti soprattutto dall’Angola, un nome che divenne una garanzia di maledizione sia per i neri condotti in catene a raccogliere il cotone sia per i detenuti tradotti in catene quando Angola, ai primi del Novecento, divenne il più grande carcere di massima sicurezza degli Stati Uniti, 7.300 ettari, 73 chilometri quadrati, più esteso di Manhattan.
No, non è un film
Un luogo dove la sofferenza imbratta ancora la terra: nel 1951 trentuno detenuti si tagliarono i tendini d’Achille per protestare contro le brutali condizioni. “Benvenuti nell’Alcatraz del Sud” dice con orgoglio Gary Young, ex secondino, la nostra guida in questa visita esclusiva nel carcere più raccontato del cinema americano, da “Dead Man Wolking” a “Monster’s Ball” al “Miglio Verde” a “Il mago della truffa” a “Jfk”. Dei 6.300 detenuti 5120 non usciranno mai da qui: moriranno con un ago in vena nella stanza delle esecuzioni, oppure – condannati al carcere a vita – se ne andranno quando sarà la loro ora; ma non varcheranno lo stesso il cancello, perché la cassa d’abete palustre costruita dai compagni della sezione falegnameria, i quali da quattro anni hanno smesso di costruire comodini e assemblano solo bare, verrà deposta nella terra rossa di Angola. “I primi ad abbandonare il prigioniero sono i compagni della banda, poi la moglie, poi gli amici, poi i figli. Quando muore la madre non viene più nessuno. Dietro il feretro solo i compagni di cella e il pastore. è sempre molto commovente e intenso” dice Young. Chi è uscito con le sue gambe è Glenn Ford, 64 anni. Era nel braccio della morte da 30 anni, proprio come i fratelli McCollum rinchiusi in Nord Carolina e liberati il 2 settembre scorso grazie alla prova del Dna. Glenn in aprile è stato riconosciuto innocente dall’accusa di omicidio e vittima di discriminazione perché condannato a morte da una giuria di soli bianchi.La cura di mister Cain
“La giustizia degli uomini non è quella di Dio. Ma la cosa bella” assicura Young “è che qui con la nostra riabilitazione morale si muore comunque nella grazia di Dio. Poi ognuno andrà nel posto che gli spetta, Inferno o Paradiso, dipende, ovvio”. Infatti Angola è, secondo una recente denuncia dell’Unione americana per le libertà civili, “un centro d’integralismo cristiano” perché il controverso direttore Burl Cain ha lasciato mano libera ai predicatori, ha imposto la costruzione di cappelle in ognuno dei cinque “padiglioni” recintati di Angola e lo studio della Bibbia, anzi un vero e proprio seminario obbligatorio che forma pastori e dj per la radio del carcere che spara a palla prediche e gospel 24 ore su 24 (prima di Cain la radio era segnalata anche da Rolling Stone magazine per la sua sofisticata e laicissima playing list, soprattutto per il rock). Sta di fatto che quello che era il carcere più violento d’America è diventato, dopo la sacra cura, un esempio di redenzione e convivenza: “Oggi è lunedì” dice Young “bene, per tutto il fine settimana non c’è stata nemmeno una zuffa. Da quando è arrivato mister Cain le violenze sono calate dell’85 per cento”. Nel 1995 hanno registrato 799 aggressioni tra detenuti e 192 attacchi alle guardie, quest’anno solo 53 incidenti gravi tra galeotti e 15 ai danni dei carcerieri. Nelle carceri della Bible Belt, soprattutto qui in Louisiana – leader mondiale nei posti letto in galera, 13 volte più dell’Iran (un nero su 14 a New Orleans è dietro le sbarre) – e per la destra religiosa americana il potente Burl Cain è intoccabile almeno quanto la pena di morte.Difatti Burl Cain e la morte s’incontrano, accade quando è l’ora dell’iniezione: lui è lì puntuale che tiene la mano al condannato. Burl Cain è l’ultima visione del condannato prima di chiudere gli occhi. E’ stato dopo la prima esecuzione che Burl Cain ha deciso di dedicare la sua vita a Cristo, di “far rinascere i criminali in Cristo”, in un certo senso di essere Cristo: “Ho sentito che quell’uomo stava andando all’Inferno e che avrei potuto evitarlo” ha detto a Time. Ha anche confessato che sua moglie intende lasciarlo perché “non vuole vivere con un killer”. Il suo predecessore, Murray Henderson, è ancora ad Angola, ma come detenuto, perché ha ammazzato la moglie con cinque colpi.
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