Il Bastardo – Erskine Caldwell (1929)
Il Bastardo di Erskine
Caldwell è figlio di prostituta e di padre ignoto, una persona
spregevole e violenta. Gene Morgan agisce in un mondo disumano e disumanizzato,
crudele, nel quale è annullata ogni regola sociale e una discussione, come se
fosse la cosa più normale, può finire a revolverate.
Nel mondo raccontato da Caldwell, la brutale
tragicità dei personaggi si consuma senza nessuna poeticità, senza il più
fievole barlume di redenzione. Gli eventi sono narrati in maniera oggettiva,
annullando completamente qualsiasi empatia tra lettore e protagonista, perché è
impossibile comprendere il crudele e animalesco animo di Gene, obbediente solo
ai propri impulsi più bassi.
Nulla si salva. Non c’è spazio per redenzione o
liete fini.
La stile di scrittura è quasi riflesso
dell’aridità interiore delle vite raccontate. Se per i contenuti Caldwell è
avvicinabile a Faulkner, il suo è un modo di scrivere diretto e asciutto è alla
Steinbeck.
Rimangono impresse le descrizioni. Facile
immaginare le invitanti cosce sode di quella giovane puttana, le sentiamo
cigolare quelle tavole di legno. Ci stuzzica le narici il rovente profumo di
malto e ci sembra di sentirlo addosso, il caldo opprimente di una segheria. I fatti snocciolati da Caldwell sono sassi gettati da una scarpata che rotolano dappertutto. L’autore, all’esordio, descrive una vita animalesca fatta di violenze sessuali, razzismo, revolverate nello stomaco ed amore marcio come se stesse cercando di spiegare il funzionamento di un motore a scoppio ad un ragazzino al suo primo giorno in officina.
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