Secondo fonti aneddotiche, discendeva da una tribù
estinta di nativi americani che portava il nome della
città di Narragansett. Fu cresciuto solo dalla madre Wanden LaFarge
Kane in un ranch a
Fountain, Colorado.
Era figlio dello scrittore vincitore del Premio Pulitzer
Oliver La Farge, un antropologo che vinse il premio letterario nel 1930 per il suo romanzoLaughing Boy. La Farge condivise con il padre naturale un
profondo amore ed un'alta considerazione etica per le tradizioni e la storia
dei nativi americani. Quando era ancora adolescente lavorò come cowboy nei rodeo, alternando questa
attività a quella di cantante.
Come giovane musicista collaborò con Big Bill Broonzy,
Josh White e Cisco Houston che divenne una sorta di suo tutore e consigliere,
tanto nell'attività artistica quanto nelle vita. Durante la guerra di Corea
La farge servì nell'esercito USA e al termine del periodo di leva fece ritorno
ai rodeo fino a quando non ebbe un grave incidente ad una gamba. Durante la
convalescenza dall'infortunio studiò recitazione
alla Goodman Theater School of Drama di Chicago.
Si trasferì quindi a New York City,
città nella quale il suo interesse per la musica trovò forte
impulso. Iniziò a farsi una fama come cantautore
e folksinger
al Greenwich Village, al tempo in cui esso era una
fucina di grandi talenti come Bob Dylan, Ramblin' Jack Elliott, Dave Van Ronk
e l'allora già più esperto Pete Seeger. Per breve tempo La Farge ebbe un contratto con la
Columbia Records
dopo di che i suoi spettacoli al Village indussero la Folkways Records,
etichetta specializzata nel repertorio folk, a porlo sotto contratto. I cinque album discografici incisi da La Farge per la
Folkways fra il 1962 e
il 1965
sono dedicati a temi concernenti i nativi americani.
Sono canzoni a ritmo di blues,
canzoni d'amore e canzoni della cultura dei cowboy. Nel 1965,
La Farge godeva già di buona fama nell'ambiente artistico newyorkese, sia come
musicista che come pittore. Viveva con la cantante danese
Inger Nielsen, dalla quale aveva avuto una figlia. In quel tempo però
iniziarono per lui gravi problemi di salute e il 27 ottobre fu trovato morto
nel suo appartamento per cause mai del tutto chiarite a soli 34 anni.
« Qualcuno un tempo mi disse:
"Invidio il tuo cuore, ma non potrei stare con il tuo mal di testa". Adesso
sono solo e pieno di solitario dolore. È quello che mi riconduce sempre a casa
a scrivere. »
domenica 15 dicembre 2013
William Albert Allard
Maestro nello scattare immagini di qualità pittorica -
dettagli sfumati, tavolozze ricche e composizioni elaborate - William Albert Allard
è un artista a tutto campo.
Da 50 anni è un documentarista e fotografo tra i più stimati
al mondo.
Da vero reportagista ha documentato il Medio Oriente e il
Sud America, ma lasua vera passione rimane l’America rurale, quella spersa nei piccoli
avamposti di provincia e costellata ancora di cowboys.
Abile nel maneggiare le pistole e a cavalcare nelle praterie e raffinato
osservatore.
Senza la macchina fotografica sarebbe diventato un
musicista: chi l’ha sentito suonare giura che sia un genio anche con le note,
oltre che con le immagini.
Classe 1937, figlio di un immigrato svedese, è cresciuto e
ha studiato nel Minnesota.
Di lauree ne ha prese due, una in giornalismo e una in
fotografia.
Per il National Geographic, la più importante
rivista di reportage del mondo, ha contributo con decine di servizi.
Fino ai 20 anni ha
sognato di fare lo scrittore, poi quel suo bisogno di raccontare lo ha tradotto
in immagini, rilegando la scrittura a saggi sui nativi americani e lezioni
sulla fotografia.
domenica 8 dicembre 2013
Karen
Dalton
E’stata una cantante e
musicista statunitense, di origini cherokee, grande virtuosa della chitarra a
12 corde e del banjo.
A New York, nella vivacissima scena folk del Greenwich Village
degli anni 60, Karen Dalton si legò a musicisti come Fred Neil e Bob Dylan, che
di lei ebbe a dire: "La mia cantante preferita qui era Karen Dalton. Karen
aveva una voce come quella di Billie Holiday e suonava la chitarra come Jimmy
Reed.”.
Dotata di una voce intensamente drammatica ma anche bruciata e
triste che ricordava proprio quella di Billie Holiday, non conosceva confine
tra folk, country e blues.
La sua vita fu da sempre minata da un vorace consumo di droghe e
alcool
che la ridurrà alla povertà.
Poco si sa della sua fine, ma si racconta che abbia trascorso i
suoi ultimi anni come una “hobo”, vivendo per strada, e che sulla strada
sarebbe probabilmente anche morta, per le conseguenze dell’Aids contratta, se
un suo vecchio amico, il grande chitarrista folk Peter Walker, non l’avesse
raccolta e assistita nelle ultime settimane di vita.
Karen Dalton ci ha lasciato due soli album
(“It's So Hard to Tell Who's Going to Love You te Best” del 1969 e “In My Own
Time” del 1971).
Morirà nel 1993, ad appena 55 anni.
"A confronto di Karen Dalton, Janis Joplin sembrava Betty Boop" (Peter Stampfel)
Nato Alphonso Blake Higgs a Matthew Town, Inagaua, Bahamas
nel 1915, Blind Blake – questo il nome d’arte con cui si farà presto strada –
sarà l’attrazione principale del Royal Victoria Hotel di Nassau, Bahamas.
Qui si esibirà per un lungo trentennio, fronteggiando la
band di casa. Impeccabili i musicisti dei quali si circondò, abili nell’arte
della contaminazione tra jazz e ritmi dell’India occidentale.
Tra musica folk degli albori, calypso e jazz della prima
parte del secolo, Blind Blake diviene presto un’istituzione locale,
conquistando poi - tramite un forsennato passaparola – anche gli stati
dell’America rurale.
Eroe di mondi sommersi conoscerà il suo momento di gloria
anche grazie alle dedicate cover di Beach Boys e Johnny Cash.
Uno dei suoi brani più popolari è sicuramente Love, Love Alone, pezzo basato
sulla liason tra King Edward VIII e Wallis Simpson.
Il materiale raccolto per l’occasione fa capo ad una serie di registrazioni
realizzate agli albori degli anni ’50.
Nella Royal Victoria Hotel Calypsos – sua backing band – si
segnalavano i talenti di Dudley Butter (chitarra, maracas), Chatfiled Ward
(chitarra), Freddie Lewis (chitarra solista), George Wilson (bass fiddle) e Lou
Adamas alla tromba.
E' ora di scaldare un pò questo inverno. Buon ascolto.
Jimmie Driftwood
James Corbitt Morris noto con il nome
d’arte Jimmie Driftwood (Contea di Stone1907 - Fayetteville1998), è stato un musicista
e compositorestatunitense. È conosciuto per essere stato l'autore di due
famose canzoni: "The Battle of New Orleans"
(ispirata all’omonima battaglia del 1815)
e "Tennessee Stud". Ha imparato a suonare la chitarra acustica
quando era ancora molto giovane, utilizzando gli strumenti appartenuti al nonno
e ha iniziato a comporre quando era un insegnante, scrivendo canzoni per
raccontare storie divertenti ai suoi studenti.
venerdì 29 novembre 2013
La
macchina parlante
ThomasEdison collaudò la prima
macchina “parlante” incidendo una filastrocca infantile “Mary aveva un agnellino”. Quello
che era stato inciso era quasi incomprensibile, ma fu un grande passo in avanti
perché era stato il primo a incidere e a riascoltare la propria voce. Il
brevetto fu depositato il 24 dicembre del 1877.
L'input decisivo
si deve all'intraprendenza e alla capacità di un tedesco emigrato negli USA:
Emil Berliner, che nella primavera del 1887 brevetta negli Stati Uniti il
"Gramophone". L'invenzione
consiste in un apparecchio con braccio grammofonico, movimento a manovella e
puntina di iridio che solca il rivestimento di cera di un disco di zinco. Dall'originale disco di zinco bisogna però ottenere la matrice per la
riproduzione in copie. Le innovazioni si susseguono serratamente di anno in
anno sino a quando, nel 1904, alla fiera di Lipsia, viene presentato il disco a
due facciate. Bisognerà aspettare poi il primo dopoguerra mondiale per vedere,
in un contesto di grande impulso tecnologico impartito al mondo occidentale
proprio dalle necessità belliche, il passaggio dall'incisione meccanica a
quella elettrica, la stereofonia, l'amplificazione.
Il cagnolino Jack Russell
Terrier che ascolta musica da un grammofono è un famoso dipinto del pittore
londinese Francis Barraud che alla morte del fratello Mark aveva
ereditato da questi il suo cane Nipper e molti dischi con su incisa la sua
voce; pare che Nipper rimanesse incantato per ore ad ascoltare il padrone
parlare dal grammofono e ciò abbia commosso Barraud, che è in questa posizione
che l'ha ritratto.Il quadro suddetto fa da logo di una delle più antiche case
discografiche, la britannica Grammophone,
poichè il dipinto era noto come La
Voce del Padrone, anche la casa discografica veniva spesso
conosciuta ufficiosamente con questo nome.
"La vita mi ha servito delle mani perdenti, o magari non le ho
sapute giocare, chissà..."
Ed Crane non parla molto.
Si limita ad osservare in silenzio la vita che
trascorre davanti a lui indifferente.
Nessuno ricorda il suo nome.
E' solo un barbiere. E questa sarà la sua condanna ad un'esistenza mediocre,
in una società che abortisce l'uomo qualunque quale legno storto
dell'umanità che stenta a conquistarsi un ruolo.
Ha una moglie troppo presa da sé e dai suoi tentativi di fare carriera
nell'emporio in cui lavora e dove ha stretto una relazione con Big Dave.
Ed Crane annusa la possibilità di dare nuovo corso alla sua vita quando a
tagliare i capelli nel suo negozio arriva un truffaldino in cerca di un
investitore che finanzi il suo rivoluzionario progetto nel lavaggio a secco. Ed
decide di mettersi in affari con l'imprenditore dalla capigliatura posticcia e
per procurarsi la cifra richiesta ricatta, attraverso una lettera anonima, Big
Dave, paventandogli il rischio di svelare l'adulterio (con sua moglie) se non
avesse pagato.
Big Dave paga, contraffacendo i libri contabili dell'emporio, ma
scoprirà che è stato lo stesso Ed a ricattarlo e deciderà di incontrarlo.
Da lì niente sarà come prima.
I fratelli Coen si cimentano in quello che sanno fare meglio: raccontare la
contropartita che il fato riserva a chi cerca di fuggire dall'apatia della
propria quotidianità, nell'aspirazione utopica alla vita esatta.
Il film è inserito in un bianco e nero sapientemente luminoso,
configurandosi come un omaggio alla tradizione noir.
La fotografia ci
immerge in atmosfere sulfuree dai rivoli retròe i cui rimandi espressionisti parlano al passato.
I Coen ci mettono davanti, attraverso il loro dark humour, il trionfo del
nichilismo, in cui i personaggi incarnano il vuoto dell'anima che ha perso un
sistema di riferimento valoriale.
Pur nella assurdità del reale, e nella concatenazione di eventi sfavorevoli
che colpiscono chi tenta goffi riscatti sociali, i Coen non si lasciano vincere
dal pessimismo cosmico, ma lanciano messaggi positivi e di speranza.
Così, in questo caso, il protagonista ci rassicura che in una dimensione
altra potrà incontrarsi con la moglie "e dirle tutte quelle cose che qui
non hanno parole".
domenica 10 novembre 2013
L’uomo che andava al cinema – Walker
Percy
“Il
fatto è che sono proprio felice in un cinema, anche quando proiettano un brutto
film. Altre persone, così ho letto, fanno tesoro dei momenti memorabili della
loro vita. Quello che ricordo io è quando John Wayne uccise tre uomini con una
carabina mentre cadeva nella polvere in Ombre rosse e la volta in cui il gattino trovò Orson
Welles sulla soglia del portone nel Terzo uomo.”
Binx Bolling diffida della realtà grigia
e indifferente.
Diffida del prossimo, della normalità a
cui è chiamato.
Preferisce il cinema, luogo in cui
si può vivere qualcos’altro, anche se non necessariamente migliore, al punto
che anche un brutto film, visto in una sala buia, dà felicità.
Preferisce le belle donne, che strappano ai
suoi occhi lacrime di gratitudine.
È la sua via verso la Meraviglia e il
Mistero.
Kate Cutrer è vittima di una sinistra
magia: trasforma quello che tocca in orrore.
Ma quando tutto è perso, quando gli altri
si disperano per lei, è allora, nel momento più nero, che Kate appare come la
divina, la donna più affascinante di New Orleans.
Binx e Kate si riconoscono al volo, si
fiutano a lungo, tentano di evitarsi, si ritrovano.
Un romanzo sulle trappole della società moderna,
ma Percy ci rassicura: possiamo sconfiggere la solitudine se ci interessiamo
alla ricerca, cioè allo stupore della vita. Un grande e dimenticato capolavoro americano.
“Ci
fermiamo in una baia e prendiamo un aperitivo sotto le stelle. Non è male
decidere di percorrere la strada secondaria, non la grande Ricerca della
felicità ma la piccola e triste felicità degli aperitivi e dei baci, una buona
macchinina e una coscia calda e tenera.”
Walker Percy è nato a Birminghan in
Alabama nel 1916 in una famiglia altolocata ma parecchio infelice: il padre si
suicida prima della sua nascita, la madre muore due anni dopo in un incidente
stradale. Lo zio che gli fa da tutore si rivolge a lui citando massime di Marco
Aurelio.
Viste le premesse, non stupisce che
Walker riveli un temperamento piuttosto introverso e sensibile, nonché una
certa propensione alla sfortuna.
Si laurea in medicina, ma negli anni di
tirocinio contrae una brutta forma di tubercolosi, che lo costringerà a
un’interminabile convalescenza.
Durante i lunghi mesi a letto legge
Kierkegaard e Dostoevskij, si converte al cattolicesimo e decide di gettare il
camice alle ortiche e diventare scrittore.
Studia, scrive e conduce vita ritirata;
tra i suoi grandi meriti, l’aver portato alla pubblicazione “Una banda di idioti” di John Kennedy Toole.
Percy muore a New orleans
nel 1990.
“Oggi è il mio trentesimo
compleanno e sono seduto sulla giostra nel cortile della scuola, aspetto Kate e
non penso a niente. Ora, all’inizio del trentunesimo anno del mio tetro
pellegrinaggio sulla terra, sapendo meno di quanto ne abbia mai saputo, avendo
imparato solo a riconoscere la merda quando la vedo, vivendo in realtà nel
secolo stesso della merda, il grande cesso dell’umanesimo scientifico dove i
bisogni sono soddisfatti, dove ognuno diventa uno qualsiasi, una persona
calorosa e creativa, e prospera come uno scarafaggio stercorario, e dove gli
uomini sono morti, morti, morti; e dove il disagio occupa perennemente il cielo
come una pioggia di pulviscolo radioattivo e dove la gente teme in realtà non
che si faccia esplodere la bomba ma che non lo si faccia - in questo giorno in
cui compio trent’anni, non so nulla e non mi resta altro da fare che cadere in
preda al desiderio.”
sabato 9 novembre 2013
Arthur Rothstein
E' considerato uno dei principali fotogiornalisti
americani.
Nato a New York nel 1915, ha frequentato la Columbia University ed è
diventato uno dei fotografi più importanti del XX secolo. In una carriera che è durata cinquant'anni, ha provocato,
intrattenuto e informato il popolo statunitense. Ha immortalato la Grande Depressione, i campi di baseball, l’atrocità della guerra, il dramma dei contadini rurali, gli anni di Ronald
Reagan.
Insieme ad altri fotografi, come Mary Post Wolcott,
Walker Evans
e Jack Delano, era stato assunto
dalla Farm Security Administration,
l'agenzia federale fondata nel 1935 per combattere la povertà e rivitalizzare
il settore agricolo, per documentare le condizioni di vita dei contadini
americani.
Ha fatto della fotografia un'arte e i suoi scatti
rappresentano un pezzo di storia.
“Poiché le immagini che hanno un
grande significato sono impresse nella nostra mente più delle parole stesse e
poichè una foto ha lo stesso significato in ogni angolo del mondo non c'è
bisogno di nessun interprete. La fotografia è un linguaggio universale”.
domenica 27 ottobre 2013
Preservation Hall & New Orleans
La Preservation Hall, al
726 di St. Peter St. nel quartiere francese di New Orleans, è il bastione, il
tempio del jazz tradizionale. Ma la ex galleria d'arte è molto più che un
semplice museo dove clarinetti e banjo mantengono vive le radici del
jazz. La Preservation Hall Jazz Band deve il suo nome a questa sala
leggendaria; la band ha viaggiato in tutto il mondo diffondendo la loro
missione di alimentare e perpetuare la forma d'arte del jazz di New Orleans.
Suonata alla Carnegie Hall o al Lincoln Center, per la Famiglia reale
britannica o per il re della Thailandia, questa musica incarna uno gioioso
spirito immortale.
Fondata cinque decenni fa dal
musicista di tuba Allan Jaffe e da sua moglie, Sandra, per mettere in
mostra la musica, insieme alla Preservation Hall Jazz Band, composta da
musicisti veterani, la Spartan Hall è una palestra, un banco di prova, un
terreno sacro che, sotto la gestione del figlio dei Jaffe, il bassista e
bandleader Ben, è riuscita non solo a sopravvivere, ma anche a prosperare,
preservare, proteggere e far progredire il jazz tradizionale di New Orleans.
La ricerca del "vero
jazz" attirò molti nordisti a New Orleans negli anni '50 e '60. Due di
loro furono Alan e Sandra Jaffe, che arrivarono nel 1961, attratti dalla
cultura dinamica della città. Come nordisti, i coniugi Jaffe furono inorriditi
nel vedere il livello di segregazione nella città in quel momento. Alle persone
bianche e di colore veniva spesso vietato di ascoltare musica negli stessi
club, ed ai musicisti di razze diverse era vietato suonare insieme, attraverso
le leggi sui liquori e altre arcane misure.
Poco dopo il loro arrivo, la
coppia si riunì con altre persone che la pensavano come loro e che avevano
avviato un gruppo chiamato Society for the Preservation of Traditional New
Orleans Jazz. Jaffe, che era sia diplomato ad una scuola commerciale che un
musicista di fiati, pensava di poter combinare le sue conoscenze e il suo
talento per promuovere la musica che tanto amava.
Così riuscì a diventare il
manager del gruppo ed occasionalmente a suonare la tuba. Facendo le cose in
maniera più minimale possibile alla Preservation Hall, niente bevande, niente
cibo, niente sala da ballo, riuscì ad evitare la maggior parte delle leggi
segregative. Poco dopo, la band iniziò a registrare i suoi primi dischi e a
girare per il mondo.
Naturalmente, questo portò
qualche brontolio da parte degli esperti jazz locali, che si domandavano
dell'effetto dei bianchi nordisti sulla loro musica, ma molti di essi furono
conquistati dal sincero impegno di Jaffe per la loro musica e per i loro
musicisti.
Benchè Jaffe non inventò la
Preservation Hall, la sua capacità di businessman contribuì a farla diventare
una Istituzione. Dai primi anni '70, persone di tutto il mondo andavano in
pellegrinaggio al 726 di St. Peter Str. Ad un certo punto, cinque diversi
gruppi della Preservation Hall erano in tour contemporaneamente.
Gli anni '80 furono un periodo
difficile per la band, con la morte di molti dei protagonisti, tra cui lo
stesso Allan Jaffe, che morì all'età di 51 anni nel 1986. Sandra lo sostituì
per un po', ma sapeva che la vera speranza della band era il figlio Ben.
Suonatore di tuba come il padre,
Ben Jaffe era cresciuto con la Pres Hall Band e rispettato non solo per la sua
eredità musicale. Dopo la sua laurea alla Oberlin nel 1993, ritornò in città,
per assumersi le responsabilità della sua famiglia, compresa la band.
Jaffe comprese che il gruppo
doveva cambiare un pò le cose.
Così iniziò a registrare molto di
più, a reclutare giovani musicisti provenienti da New Orleans e collaboratori
di fuori città, ed avviare progetti per celebrare e riconoscere la musica che
aveva definito il viaggio delle sua famiglia.
Non è un caso che nei suoi 50
anni come collettivo di lavoro, la Preservation Hall Jazz band abbia pubblicato
solo 19 album. Di questi, più della metà sono stati pubblicati dopo il 1994,
quando la band fu rilevata da Ben che allora aveva solo 22 anni.
Come ha scritto lo stesso Ben
Jaffe "Ho grande piacere, che una canzone che è stata interpretata,
reinterpretata ed eseguita per anni sia ancora fresca e nuova come il giorno in
cui è nata... E' qualcosa che fa la musica ... allungare il tempo, sovrapporre
tradizioni, cambiare la storia... La musica di New Orleans è piena di
significati... è vitale e piena di vita, può essere felice e gioiosa, può
essere triste e lugubre, non ha barriere linguistiche. Offre un messaggio
universale che noi, la Preservation Hall Jazz Band, portiamo con noi ovunque
andiamo."
lunedì 21 ottobre 2013
Dock Boggs
Il signore in questione ètra i capostipiti del country-blues-hillbilly bianco
degli Appalachi, un mito del prewar folk. Siamo negli anni '20 e l'America
è un paese in crisi e in forte depressione economica, specie il Sud, una zona
ancora tendenzialmente rurale, dai forti contrasti razziali e dalle numerose
miniere di carbone. Non solo contrasti tra i bianchi
e gli afroamericani, ma molti anche i punti di contatto e le similitudini nella
vita, come nella musica, dove molti bianchi del Sud si trovarono a vivere nelle
stesse condizioni di vita dei neri afroamericani e a riprendere il blues
acustico del Mississippi per rivisitarlo in chiave country. Dock Boggs era uno di questi.
Misconosciuto cantante e banjoista, originario del Virginia, dove nacque nel
1898, ebbe una vita a dir poco travagliata che lo vide dapprima minatore
all'età di dodici anni, poi contrabbandiere di whisky, musicista fallito e poi
ancora minatore sindacalista. La sua carriera è
convenzionalmente divisibile in due tronconi: quello degli anni '20, in cui
tentò in tutti i modi di sbarcare il lunario con la musica, incidendo per varie
etichette, ma senza grandissimo successo e quello degli anni '60, dove grazie
l'interesse di Mike Seeger, fratello
di Pete, fu oggetto di una vera e
propria riscoperta con tanto di incisioni per la Smithsonian/Folkaways, storica etichetta di musica tradizionale
americana.
Dicevamo della prima fase della
sua vita che lo vide più che altro impegnato a sopravvivere tra sparatorie
varie, ubriacature moleste e soggiorni nelle patrie galere. La passione per il
banjo era la sua unica valvola di sfogo, la via per raccontare le storie
di violenza, alcool e povertà con cui si scontrava quotidianamente. Ovviamente
il banjo, che peraltro suonava con maestria e con una tecnica originalissima, non
dava però da mangiare. Quindi dopo qualche registrazione nei tardi anni '20,
smise di incidere "preferendo" le miniere e le lotte sindacali. Poi, fino al 1963 il silenzio. Solo dopo l'interesse di Pete Seeger (e grazie all'ondata di
folk-revival che colpì gli States nei '60) che lo volle proprio in quell'anno
all'American Folk Festival di Asheville, riprende il banjo in mano e ritorna a tracciare
melodie rurali, secche e scheletriche, ossessivamente dissonanti. La sua voce claudicante è
resa più afona e cruda dagli anni e dalle sofferenze che la vita gli ha
riservato, tuttavia
il suono del suo banjo arriva alle orecchie e al cuore.
Dock Boggs capì che la bellezza
intrinseca, la poesia e la semplicità delle ballate, importate o native, con o
senza accompagnamento strumentale, potevano essere non solo preservate intatte
ma perfino accentuate se sposate alla forza evocativa ruvida, essenziale ed
immediata del blues delle origini. Le 'blues-ballads' di Boggs rivelano
due precisi punti di partenza: il repertorio raccolto dal canto occasionale
della madre e delle sorelle e l'amicizia stretta col vicinato di colore,
soprattutto con due chitarristi, tali Go Lightening e Jim White. La
sintesi di ambedue queste espressioni musicali, il collage di frammenti di
brani tradizionali bianchi e l'uso di accordature modali particolarissime,
attraverso le quali il banjo sembra imitare la chitarra blues, hanno dato
origine a Down South Blues, a Sugar Baby, a Pretty Polly, al
capolavoro di Country Blues (il tradizionale Hustlin' Gambler avvolto
in un sudario blues), vero e proprio manifesto sonoro di uno stile.