L'angosciante inquadratura di un occhio sbarrato apre il secondo lungometraggio di Roman Polanski, Repulsion, un viaggio allucinato nella sfera psichica di una donna incantevole e disturbata. Carol (Catherine Deneuve) lavora in un salone di bellezza londinese, una sorta di tempio della femminilità affollato da giovani in divisa e anziane mummificate. Polański pedina la donna nel traffico frenetico di una città in costruzione dove ogni sguardo maschile viene percepito come ostile e mostruoso. L’unico rifugio da queste continue minacce sembra essere l’appartamento che condivide con la sorella (Yvonne Furneaux), una donna dissimile da ogni punto di vista.
Qui Carol si sente al sicuro e a proprio agio, eccetto per la presenza invasiva del cognato. Il rasoio nel bagno, eterno simbolo paterno e maschile, unito ai continui gemiti sessuali notturni, alterano la dimensione casalinga. Nel momento in cui la coppia decide di partire per un viaggio di piacere in Italia, la giovane resta sola con i suoi demoni.
Carol vuole essere libera di non avere niente a che fare con nessun tipo di individuo di sesso maschile, per il quale prova un forte senso di disgusto e repulsione. Anche se tenta di creare una bolla di protezione intorno a sé, tutto il suo mondo è comunque pervaso da riferimenti maschili. In una società dove sembra sia obbligatorio avere un uomo accanto a sé, o perlomeno desiderare di averlo, Carol osserva sognante il convento fuori dalla sua finestra, un ambiente puro e protetto.
A poco a poco inizia una lenta discesa nella folle mente allucinata della donna, un cambio di registro che Polanski racchiude nelle quattro mura dell’appartamento. Dalla barca di Il coltello nell’acqua ai successivi Rosemary’s Baby e L’inquilino del terzo piano, il regista riuscirà sempre a riverberare perfettamente il malessere mentale in uno spazio claustrofobico e circoscritto.
La fotografia contrastata di Gilbert Taylor (Il dottor Stranamore, Guerre Stellari) unita al nutrito ecosistema sonoro fatto di ticchettii e rumori di passi alternati a lunghi silenzi, creano un atmosfera onirica e surreale. I volti iniziano a deformarsi nel riflesso di un bollitore o nello spioncino della porta, mentre alcune crepe si aprono nelle mura di casa.
Nel suo primo film anglofono, Roman Polanski costruisce una dimensione ansiogena da horror psicologico, in cui la camera a spalla e il grandangolo trascinano lo spettatore dentro la percezione instabile della protagonista, contrariamente alla consuetudine hitchcockiana.
Immagini come quella delle braccia maschili nel corridoio o delle inquietanti crepe aperte nelle mura sono tuttora aggrappate all’immaginario cinematografico collettivo.
Un film splendido, efficace come pochi nella creazione di suspense e angoscia. Superba e bellissima la Deneuve seguita ossessivamente dalla camera assieme ai suoi silenzi e alle sue paure, splendida anche la colonna sonora firmata dal valoroso batterista jazz Chico Hamilton. Polanski così cattura lo spettatore facendolo precipitare, insieme alla sua protagonista, nel baratro della follia umana.
Nessun commento:
Posta un commento