mercoledì 25 agosto 2021

Flipper - Sex Bomb (1982)


 

The Embryo Hunts In Secret - Kōji Wakamatsu (1966)

 

“Taiji Ga Mitsuryô Suru Toki” che nel titolo internazionale diventa “The Embryo Hunts In Secret” è una delle opere più annichilenti del grande e compianto Kôji Wakamatsu.
Con una messa in scena più che essenziale, il regista ci fa immergere nelle turbe esistenziali di un uomo che tiene segregata una dipendente del suo negozio nel proprio appartamento, legandola e torturandola. Durante l’arco di questo sequestro, il protagonista rievoca il suo passato tormentato, un legame controverso e morboso con la madre e una storia naufragata con la sua ex moglie, con la quale egli si era rifiutato di avere figli.

 Una concezione pessimistica della vita che trova il suo apice nel monologo drammatico “per me, la più grande assurdità è il fatto di essere nato. Madre, perché sono nato? Perché sono uscito fuori dal tuo grembo? Perché ho sofferto così tanto?”, uno dei deliri nichilisti più potenti e assoluti nella storia intera del cinema.
Se escludiamo le prime scene girate in esterno sotto una pioggia battente,il film si svolge esclusivamente in stanze desolate, vuote, spogliate da qualsiasi oggetto, solo un letto circondato da bianche pareti che risaltano ancora di più nei contrasti in bianco e nero. Una povertà scenografica che rappresenta il nulla esistenziale del carnefice, un mostro che incarna derive aberranti di misoginia, di odio e di egoismo.


In questa pellicola c’è un dolore inestirpabile che trapassa di continuo lo schermo, un teatro della crudeltà che sfocia addirittura nel surrealismo (il regista dichiarò di aver avuto delle allucinazioni durante le riprese), una forma di alienazione dalla realtà che sconfina nel tragico a livelli disumani. Sono poco più di settanta minuti nei quali Wakamatsu gestisce il tutto con classe e maestria, supportato dallo script del fidato Masao Adachi, per quella che può essere considerata la sua prima pellicola di successo oltre i confini nipponici.


Correva l’anno 1966, sette anni dopo in Europa il filosofo e saggista rumeno Emil Cioran scrive ne “L’Inconveniente Di Essere Nati”: “noi non corriamo verso la morte, fuggiamo la catastrofe della nascita, ci affanniamo, superstiti che cercano di dimenticarla. La paura della morte è solo la proiezione nel futuro di una paura che risale al nostro primo istante.” Punti di contatto molto forti che fanno di “Embrione” uno snodo di passaggio fondamentale per quel nichilismo concettuale che tanto aveva già dato nella filosofia e nella letteratura passata e contemporanea. Perché quello di Wakamatsu non è solo un film, è uno stato mentale.






giovedì 19 agosto 2021

This Heat - The Fall of Saigon (1979)


 

Silence Has No Wings - Tobenai chinmoku (1966)

 

Questo film è uno dei punti più alti raggiunti dalla profonda innovazione del cinema giapponese degli anni 60. Il film di Kuroki Kazuo, al suo esordio come regista, presenta l'improbabile viaggio di una larva da Nagasaki (all'estremo sud del Giappone, se escludiamo Okinawa) fino all'Hokkaido, dove diventerà farfalla, per passare da Tokyo, Hiroshima, Kyoto, Osaka e addirittura Hong Kong.


 Ogni tappa è l'occasione per mostrarci un affresco del Giappone dell'epoca: il dramma degli hibakusha (i contaminati) di Hiroshima, i sensi di colpa e l'impossibilità di superare le terribili esperienze di guerra sperimentate nel sud-est asiatico, l'affermarsi di una società che sforna colletti bianchi alle prese con una routine noiosa, soffocante e priva di stimoli, e le contestazioni e gli scontri di piazza. 

Ma l'aspetto indubbiamente migliore di "Tobenai Chinmoku" è senza alcun dubbio la fotografia. Ogni inquadratura è davvero sublime, e va a costituire quasi un'opera d'arte a sé. Il film non fa altro che proporre in sequenza questi affreschi, queste suggestioni, questi momenti evocativi in un continuum mozzafiato che non può che deliziare gli occhi dello spettatore. 

Tra i  film giapponesi con la fotografia più bella che si sia mai vista, con una ricercatezza ed una cura davvero maniacali.



martedì 3 agosto 2021

The Gun club - Idiot waltz


 

Pale Flower - Masahiro Shinoda (1964)

 


Maruki (Ryô Ikebe), un gangster yakuza consumato, esce di prigione dopo una lunga condanna per omicidio. Ributtatosi nel gioco, sua vecchia passione, incontra la giovane e avvenente Saeko (Mariko Kaga), giocatrice spericolata e indipendente. La donna, affascinata dal silenzioso e affascinante malavitoso, lo convince a lasciarla entrare in un giro di scommesse ancora più pericoloso ed esclusivo. Nel frattempo, il mondo della criminalità organizzata è in subbuglio, e le alleanze per cui Maruki ha affrontato la prigione sembrano non valere più molto. 

Sconfitto e amareggiato, l’elegante criminale si offre volontario per una nuova missione ad alto profilo, che non può che condurlo nuovamente in prigione: uccidere all’arma bianca il boss della gang rivale. Ma le motivazioni che lo spingono sono più personali che professionali; facendo assistere Saeko allo spettacolo di un omicidio, Maruki spera di strappare la giovane donna alla sua nascente ossessione per una forma di intrattenimento ancora più autodistruttiva del gioco d'azzardo: l'eroina.

Un gioiello di virtuosismi stilistici, Kawaita hana è uno sguardo nichilistico al sottobosco della criminalità metropolitana, i cui i personaggi si muovono con pesantezza, portandosi dietro il loro bagaglio di stanchezza e disperazione interiore che trasuda sullo schermo, filtrata solo dal fumo delle bianche sigarette e mitigata dai costumi elegantissimi ed impeccabili. Ryô Ikebe è perfetto nel ruolo del gangster imbronciato e cool, e la sua controparte femminile Mariko Kaga si distingue per la fragilità del suo glamour francesizzante. Bellissima la fotografia di Masao Kosugi, spesso inchiostrata di neri impenetrabili, a tratti illuminata da bagliori quasi accecanti, corredata da un uso mesmerizzante dello slow motion, quasi ad anticipare le prodezze di Wong Kar-Wai. 

Memorabile l'uso della musica di Purcell durante la scena dell'omicidio, quasi a sublimare la corporalità cruda delle immagini. Ostacolato dalla censura all'epoca della sua uscita, il fiore appassito di Masahiro Shinoda è un film che da riscoprire assolutamente, e che va collocato fra i grandi capolavori del suo decennio.