mercoledì 25 agosto 2021

The Embryo Hunts In Secret - Kōji Wakamatsu (1966)

 

“Taiji Ga Mitsuryô Suru Toki” che nel titolo internazionale diventa “The Embryo Hunts In Secret” è una delle opere più annichilenti del grande e compianto Kôji Wakamatsu.
Con una messa in scena più che essenziale, il regista ci fa immergere nelle turbe esistenziali di un uomo che tiene segregata una dipendente del suo negozio nel proprio appartamento, legandola e torturandola. Durante l’arco di questo sequestro, il protagonista rievoca il suo passato tormentato, un legame controverso e morboso con la madre e una storia naufragata con la sua ex moglie, con la quale egli si era rifiutato di avere figli.

 Una concezione pessimistica della vita che trova il suo apice nel monologo drammatico “per me, la più grande assurdità è il fatto di essere nato. Madre, perché sono nato? Perché sono uscito fuori dal tuo grembo? Perché ho sofferto così tanto?”, uno dei deliri nichilisti più potenti e assoluti nella storia intera del cinema.
Se escludiamo le prime scene girate in esterno sotto una pioggia battente,il film si svolge esclusivamente in stanze desolate, vuote, spogliate da qualsiasi oggetto, solo un letto circondato da bianche pareti che risaltano ancora di più nei contrasti in bianco e nero. Una povertà scenografica che rappresenta il nulla esistenziale del carnefice, un mostro che incarna derive aberranti di misoginia, di odio e di egoismo.


In questa pellicola c’è un dolore inestirpabile che trapassa di continuo lo schermo, un teatro della crudeltà che sfocia addirittura nel surrealismo (il regista dichiarò di aver avuto delle allucinazioni durante le riprese), una forma di alienazione dalla realtà che sconfina nel tragico a livelli disumani. Sono poco più di settanta minuti nei quali Wakamatsu gestisce il tutto con classe e maestria, supportato dallo script del fidato Masao Adachi, per quella che può essere considerata la sua prima pellicola di successo oltre i confini nipponici.


Correva l’anno 1966, sette anni dopo in Europa il filosofo e saggista rumeno Emil Cioran scrive ne “L’Inconveniente Di Essere Nati”: “noi non corriamo verso la morte, fuggiamo la catastrofe della nascita, ci affanniamo, superstiti che cercano di dimenticarla. La paura della morte è solo la proiezione nel futuro di una paura che risale al nostro primo istante.” Punti di contatto molto forti che fanno di “Embrione” uno snodo di passaggio fondamentale per quel nichilismo concettuale che tanto aveva già dato nella filosofia e nella letteratura passata e contemporanea. Perché quello di Wakamatsu non è solo un film, è uno stato mentale.






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