Il soggetto del film di Malick è la storia vera del contadino austriaco Franz Jägerstätter (August Diehl). Nel 1938 l’ombra del secondo conflitto mondiale si estende in Europa, la leva militare è tanto pressante quanto il fanatismo hitleriano. In un villaggio che vive i ritmi della natura, Franz è chiamato a combattere per una causa che non riconosce. Dovendo soppesare anche le conseguenze per sua moglie (Valerie Pachner) e i suoi figli, la scelta di Franz si fa sempre più lacerante. Il rifiuto etico di adesione alla politica del terrore hitleriana ha ovviamente un costo altissimo.
Dopo la Palma d’oro vinta per The Tree of Life (2011),
una continuità di visione sul conflitto etico – che per Malick dura una
parentesi temporale dal 1998 al 2019 – stabilisce un rapporto tra La
sottile linea rossa (Orso d’oro, 1999) e La vita nascosta – Hidden
Life. In entrambe, infatti, anche se sotto profili diversi, ricorre lo sfondo
storico della seconda guerra mondiale. L’inizio con un filmato in rapporto
d’aspetto 4:3, originale della seconda guerra mondiale, introduce un profondo
realismo storico. Malick racconta una storia vera che, tuttavia, non è una
storia nuova. Ciò che muta artisticamente il soggetto è la sua grammatica.
Infatti, La vita nascosta – Hidden Life è paradossale: è un film
sulla guerra ma non c’è ombra di crudi conflitti. I campi di battaglia vengono
sostituiti da quelli naturali, coltivati in un piccolo villaggio nascosto fra
le montagne.
La vita nascosta – Hidden Life apre la narrazione con delle ampie panoramiche di una perfetta natura austriaca. È un inizio malinconico quello che propone Malick, un inno alla vita che passa per i fotogrammi di una natura incontaminata. Un’evocazione forte dell’Angelus di Millet. Questo canto alla semplicità bucolica, alle origini del vitalismo fa di Malick un nostalgico biocentrista. Gli affetti originari, i riti, le piccole realtà idilliche, lontane dai grandi sconvolgimenti. Quella di Franz e della moglie – come quella reale del regista – è una vita lontana, nascosta dai grandi movimenti della storia.
In contrasto a questa apertura, la morsa stringente della macchina da presa su Franz è cifra di un presagio narrativo. La scelta morale incombe sul protagonista. Il conflitto inscenato è quello tra moralità e legalità con le sue possibili declinazioni. Di fatto, alla convinzione etica personale, anche la religione come istituzione corrotta decade dal proprio ruolo di guida morale. L’etica nazionalista e l’etica personale sono poste in un contrasto serrato, così come le ripercussioni della scelta individuale sulla famiglia di Franz. La scelta come dannazione, la libertà come inferno è oggetto della narrazione de La vita nascosta – Hidden Life. La prospettiva internalista di Malick offre una visione della dimensione reale e privata della scelta morale. Quando si sceglie si è soli, con le proprie convinzioni, con le proprie responsabilità. L’isolamento stesso del regista emerge come dato autobiografico: un autore che sceglie di porsi fuori dallo star-system hollywoodiano.
Se – grazie a James Newton Howard – musiche classiche e cori
angelici si alternano, a volte rafforzando l’idillio, a volte adombrando la
realtà, esse conferiscono alla storia potenza archetipica. Tutto ne La
vita nascosta – Hidden Life è ridotto all’archetipo. La natura nelle
inquadrature che ne rimarcano l’immutabilità, il momento etico della scelta
individuale, il male radicale. La tensione costante – quasi leopardiana –
fra l’indeterminazione della natura e la lacerazione del conflitto morale
è una cifra stilistica de La vita nascosta – Hidden Life. In questa
oscillazione fra l’origine e la sofferenza umana del distacco e
dell’individuazione prende corpo l’antropologia “malickiana”. Il dolore della
determinazione si riflette nel conflitto interno alla scelta e il suo riscatto
nella catarsi dell’atto etico, quello vero, primo, archetipicamente umano.
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