Il 31 ottobre 1937, gli stabilimenti Temmler registrarono all’Ufficio brevetti di Berlino la prima metilanfetamina tedesca. Nome commerciale: Pervitin. La nuova versione dei farmaci “rivitalizzanti” si diffuse in maniera capillare nella società dell’epoca. “L’eccitante esplose come una bomba, dilagò come un virus e iniziò ad andare a ruba, diventando ben presto normale quanto bere una tazza di caffè.” Lo prendevano studenti e professionisti per combattere lo stress, centraliniste e infermiere per star sveglie durante il turno di notte, chi svolgeva pesanti lavori fisici per superare la fatica; e lo stesso valeva per i membri del partito e delle SS.
Nel 1939, grazie a Otto Ranke, fisiologo della Wehrmacht, il farmaco prende piede in ambito militare. Anche Mussolini – il paziente “D” – fu tenuto sotto stretta sorveglianza dai medici nazisti. Testato durante l’invasione della Polonia, viene distribuito ai soldati delle divisioni corazzate di Guderian e Rommel in procinto di attraversare le Ardenne e inventare il Blitz-krieg, quando la velocità dei mezzi e la capaci-tà di resistenza degli uomini diventano un fat-tore decisivo. Il resto è storia. Perché la Wehrmacht dei primi anni di guerra non era invincibile per la sua superiorità tecnica e tattica e l’“indomito spirito battagliero ariano” dei suoi guerrieri, ma anche per quello che scorreva nelle loro vene. Basato sulle ricerche dell’autore negli archivi tedeschi, che conservano anche le carte del medico personale di Hitler, questo libro è il primo tentativo di indagare il legame tra la struttura del regime nazista e l’uso delle droghe per plasmare e rinforzare la società tedesca. Non ha la pretesa di riscrivere la storia del nazionalsocialismo né tantomeno di sminuire la responsabilità dei nazisti rispetto ai crimini di cui si sono macchiati ma, come scrive Hans Mommsen nella postfazione, cambia il quadro d’insieme. E getta una nuova luce, ancor più sinistra, su uno dei periodi più cupi della storia dell’umanità.
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