"La mia più grande paura è che, se ti lascio
andare, tu mi raggiungerai nei miei sogni"
Immagina di sentirti irresistibilmente attratto dall’aspetto
tetro e fatiscente dell’edificio. Ti sorprendi a fissare inebetito l’insegna
equivoca e scrostata. Da lì a scendere incauto fino al seminterrato attraverso
un corto budello di gradini screziati dagli umori che la notte piovosa ha
rappreso sotto le suole, il passo è breve. Ad accoglierti è un salone in
penombra col bar a ferro di cavallo schiacciato contro la parete, il soffitto
così basso che non vedi l’ora di metterti seduto; l’aria è sapida e corrotta,
le volute di fumo incorniciano volti non certo familiari: facce da tagliagola, vecchie
checche in pensione e veterane della fica. - Dopotutto l’inferno non è poi così
lontano visto da quaggiù – pensi, e fai un cenno all’uomo dietro il bancone che
sta venendo verso di te per dirgli che è tutto a posto, che ti sei sbagliato e
che ora te ne vai, dopo avergli strofinato il palmo della mano con una
salvietta da cinque, per il disturbo. In quell’istante, però, lo sfarfallio di
un faretto ravviva un angolo di tenebra, un podio per orchestra compare dal
nulla, sopra tre figuri dall’aria losca, fasciati d’ombra, imbracciano i
rispettivi strumenti e si osservano la punta delle scarpe nell’ attesa di
cominciare. Sì, lo sai che non sono là per suonare My funny Valentine,
eppure mica ce la fai ad alzarti, è come se qualcuno ti avesse annodato le
stringhe alle zampe dello sgabello. La terra ti frana sotto i piedi ed il sogno
comincia…“Buonanotte, signore e signori, noi siamo i Morphine”.
C’è un basso a due corde e un sax tenore, due strumenti che
non potrebbero mai accordarsi perfettamente tra loro, sarà per questo che il
suono che n’esce è vitreo, irregolare, profondo come l’eco che rimbalza nel
ventre d’una giara; c’è una batteria recintata di timpani e tom che continua a
plasmare figure mobili e concentriche. “You’re good, good, good / you’re
good…”, l’epiteto si ripercuote dagli angoli fino al centro dello stanzone
semideserto.
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