Stephen
King sta recentemente vivendo la stupefacente fortuna di
critica e pubblico grazie a un vero e proprio
revival audiovisivo (
22.11.63,
Under the Dome,
Mr. Mercedes, it, la torre nera). Ed è
proprio all’interno di tutto cioè che si colloca
1922, una
torbida fiaba rurale nella quale non è tuttavia difficile ravvisare l’influenza
atmosferica degli inquietati immaginari che da E.A. Poe conducono dritti a
Ambrose Bierce e William Faulkner.
Fedelissimo adattamento di un racconto
lungo contenuto nell’antologia
Notte buia, niente stelle e diretto con
mano saldissima e ispirata da
Zak Hilditch, 1922 narra
l’oscura vicenda di Wilfred James (
Thomas Jane), tipico agricoltore
americano impegnato nel disperato tentativo di convincere la moglie Ariette (
Molly Parker)
a non vendere la fattoria e l’ampio appezzamento di terra ereditati dal padre
per trasferirsi in città a vivere una monotona esistenza. Fallito ogni
tentativo di mediazione e con lo spettro del divorzio che incombe minaccioso,
Wilfred, con la complicità del figlio Henry, architetta l’uccisione della
donna e il conseguente occultamento di cadavere nel pozzo situato nel giardino
della magione.
Da quando, però, il terribile atto viene compiuto, la vita intera dell’uomo
sembra precipitare in un incubo senza fine, tra l’improvvisa fuga del
primogenito assieme alla giovane puerpera Shannon e la comparsa di una miriade
di ratti che infestano ogni anfratto dell’abitazione, mentre la presenza
fantasmatica della moglie sembra tutt’altro che un lontano ricordo. Cavalcando
appieno l’onda lunga del buon successo ottenuto dall’attesa trasposizione
di
Il gioco di Gerald,
1922 si delinea come un’opera
intensa e ipnotica dalla natura fortemente ibrida, unendo le coordinate di uno
straniante
thriller psicologico alla struttura di un
horror, impiegando
la figura diabolica – e a tratti quasi sovrannaturale – degli onnipresenti
ratti quale metafora di un senso di colpa che striscia, rosicchia e s’infiltra
malevolo in ogni anfratto della mente distorta del protagonista, richiamando
inoltre suggestioni che occhieggiano a
Il gatto nero di Poe e
all’immancabile
La casa della strega di lovecraftiana memoria.
Impiegando una messa in scena esteticamente impeccabile e visivamente
suggestiva – grazie a fluidi movimenti di macchina e a un ottimo montaggio dai
ritmi alquanto rarefatti –, Hilditch apparecchia un universo incubotico nel
quale persino l’immagine apparentemente insignificante di un pozzo acquisisce una
forza narrativa inimmaginabile, divenendo luogo maledetto deputato alla volontà
di celare un terribile segreto di sangue destinato a perpetrare la propria
terribile maledizione attraverso la suggestiva allegoria dell’
infestazione.
Salutato con preventive
manifestazioni di entusiasmo già nella fase di produzione dallo stesso King,
1922
appare a tutti gli effetti come uno degli omaggi filmici più onesti e
sicuramente più riusciti al lavoro del
re del brivido, un piccolo
gioiello di elegante inquietudine destinato a far passare qualche sana notte
insonne anche allo spettatore più coraggioso.