venerdì 28 aprile 2017

Dawson City – Il tempo tra i ghiacci





Ci sono almeno tre film diversi dentro Dawson City – Il tempo tra i ghiacci. Tre storie che hanno tutte a che fare con il cinema e che del cinema sono a loro modo declinazioni, espressioni, riflessi. Il documentario di Morrison è una storia di fantasmi, di morti che tornano in vita ed è un viaggio nella memoria di un tempo perduto di cui il cinema è vero e proprio medium. Inteso nel senso esoterico di qualcosa che è in grado di resuscitare i defunti. Ma è anche la storia di una colonizzazione. La storia del capitale che assoggetta gli spazi alle proprie regole, che condiziona i rapporti fra gli individui e che utilizza il cinema come strumento di “umanizzazione e attraverso cui modellare la società a propria somiglianza.

Lo spunto da cui parte Dawson City è il ritrovamento, avvenuto sul finire degli anni Settanta, di una innumerevole quantità di pellicole cinematografiche sepolte in una vecchia piscina (interrata) nella città di Dawson, regione dello Yukon, estremo nord del Canada. Queste pellicole, risalenti agli anni Dieci e Venti, erano state inviate dai distributori per essere proiettate al cinema della città. La norma prevedeva che una volta esaurite le repliche, i rulli dovessero essere rispediti al mittente, ma data la difficoltà dei collegamenti con lo sperduto Yukon, era molto più economico disfarsi in loco di tutte le pellicole che via via si accumulavano. Il grosso del materiale fu gettato nei fiumi Yukon e Klondike, che proprio a Dawson confluiscono, ma una certa quantità, appunto, fu interrata nella vecchia piscina comunale. Recuperati e restaurati questi film – quasi 500 – sono raccolti oggi nell’archivio cinematografico canadese e nella Biblioteca del Congresso degli Usa.

La cronaca e il resoconto del ritrovamento, del restauro e della conservazione e successiva digitalizzazione delle pellicole, che occupa una buona parte del film, è la storia di una vera caccia al tesoro. Nel luogo in cui vennero scoperti i più ricchi giacimenti auriferi del pianeta è stato infatti trovato e portato alla luce – esattamente con le stesse modalità dei cercatori d’oro, e cioè scavando – un tesoro altrettanto inestimabile. Pellicole ammucchiate e impastate con la terra di cui per anni non è importato a nessuno, hanno cominciato a suscitare l’interesse di alcuni addetti ai lavori sino a che, grazie ai finanziamenti dei governi canadese e statunitense, si è cominciato il lungo lavoro di recupero


Il motivo per cui tante pellicole furono spedite, nei primi del ‘900, per essere proiettate nel cinema di un luogo così isolato è che Dawson City fu il centro geografico della grande Corsa all’oro del Klondike. Fra il 1897 e il 1905 un villaggio di poco più di quattro case si trasformò in una città di oltre 40000 abitanti calamitando attività di ogni genere e specie, comprese quelle illegali. Morrison si sofferma a lungo sull’esplosione demografica della città e sulla Gold Rush, inserendo numerose didascalie e utilizzando spezzoni delle pellicole recuperate nella piscina (che portano i segni del tempo e sono offuscate da una sorta di fumo bianco) e decine di splendide fotografie d’epoca.


È qui che inizia il secondo film. La storia della nascita di una città che è anche la nascita di una nazione e la genesi del secolo breve della modernità, è un viaggio dentro la memoria collettiva. Nella descrizione della corsa all’oro esistono e sono canalizzate sotto forma di metafora buona parte delle istanze e degli stigmi che dipingono l’ascesa del capitalismo novecentesco. L’esplosione di agglomerati urbani come quello di Dawson quale conseguenza della corsa all’oro, è anche in senso più allargato, il compimento di una parabola – tipicamente western – dell’assoggettamento della natura da parte dell’uomo


E' proprio il terzo film che sta dentro Dawson City quello più suggestivo di tutti. Le pellicole (dis)sotterrate infatti, per via del nitrato di cellulosa (comunemente detto fulmicotone) del quale erano fatte, erano estremamente infiammabili e diedero origine, durante gli anni in cui furono stipate nei magazzini della città, a numerosi e dannosissimi incendi che contribuirono a semi distruggere Dawson. Questa natura potenzialmente distruttiva della pellicola, generatrice di una vera e propria cinefobia”, è messa in risalto nel film come una sorta di potere medianico, capace di sopravvivere alla morte e di dare vita ai fantasmi. E quel fumo bianco, sorta di nebulosità spettrale, che circonda le pellicole ritrovate, sembra esserne il sintomo più evidente.


Nessun commento:

Posta un commento