"Se ti
piace, se ami la persona con cui stai sotto il ponte, anche il ponte non è
male. Anche la vigilia di Natale non è male".
Scritto nel
1933, il libro è originato da un’esperienza di vita dell’autore che nel 1929,
dopo aver lasciato l’università, si mette a vagabondare per cinque anni,
vivendo per strada e viaggiando sui treni merci. Questo suo unico romanzo è da
molti considerato, per lo stile e il genere di umanità che lo popola,
l’antesignano di quella linea narrativa americana che giunge fino ad autori
come John Fante e Charles Bukowski.
Tom è un vagabondo in cerca di un buco per dormire e di qualcosa da mettere sotto i denti nell’America della Grande Depressione. Una vita in fuga perenne, ridotta al minimo, e senza speranza.
Tom è un vagabondo in cerca di un buco per dormire e di qualcosa da mettere sotto i denti nell’America della Grande Depressione. Una vita in fuga perenne, ridotta al minimo, e senza speranza.
“L’idea era quella di andarci in
autostop, ma dopo una giornata intera senza un passaggio, un treno merci si è
fermato vicino alla strada: mi sono arrampicato su un vagone. Da allora ho
lasciato perdere l’autostop: i miei interessi hanno sempre coinciso con quelli
delle compagnie ferroviarie – di solito, mi portavano dove volevo, che poi non
era mai nulla di più definito di “Est” o “Ovest”.
Il bianco e nero è
quello delle fotografie di Walker Evans, l’accento stridulo è lo stesso delle
tempeste di parole di Woody Guthrie, gli umani soggetti sono sempre quelli dei
reportage di James Agee: i volti scavati, gli abiti sdruciti, le scarpe
sfondate, gli occhi che chiedono perché senza mai ottenere risposta. Qualcosa
di feroce, invisibile e malefico nascosto nella crisi economica (allora come oggi)
ha spazzato le loro vite, lasciandoli nella miseria attoniti, disperati,
abbandonati e, più di tutto, soli.
“Questo Karl è uno scrittore. Ha sempre fame:
non ce la fai a riempirti con un dollaro la settimana; e non è certo colpa sua
se è sempre affamato. Il fatto è che nessuno gli compra la roba che scrive.
Scrive di bambini che muoiono di fame, di gente che ciondola per le strade in
cerca di lavoro. Ai lettori questa roba non piace. Perché nei racconti di Karl
li puoi udire, i pianti dei bambini affamati. E puoi vedere l’espressione
affamata negli occhi degli uomini. E così Karl avrà sempre fame. E continuerà a
descrivere le cose in modo che le puoi vedere mentre le leggi”
“Non mi passava per la testa di
pubblicare Waiting for Nothing, e così l’ho scritto come veniva, usando la
parlata dei vagabondi, anche se non è la parlata più bella del mondo. Parti del
libro sono state scarabocchiate su carta da sigarette Bull Durham nei vagoni
dei treni, sul margine di opuscoli religiosi in centinaia di missioni,
guardine, una prigione, capannoni delle ferrovie, dormitori e, in alcune
memorabili occasioni, le ho tirate fuori usando i miei due indici e una
macchina da scrivere vera e propria”
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