lunedì 31 ottobre 2016
sabato 29 ottobre 2016
domenica 23 ottobre 2016
Non essere cattivo
Scrivere,
parlare di "Non essere cattivo" implica una certa dose di dolore. Non
c'è da stupirsi, dato che dietro la macchina da presa c'è Claudio Caligari, un
maestro vero, abbandonato dall'industria cinematografica italiana, nonostante
con un pugno di documentari e due lungometraggi avesse già fatto capire che il
suo nome meritava ampiamente di essere consegnato alla storia del nostro
cinema. Il dolore provocato dalla visione del suo terzo, magnifico film è stratificato e agisce sotto molteplici aspetti.
C'è il rimpianto che provoca la consapevolezza che
Caligari è morto troppo presto, nel pieno di una sua pienezza artistica che
avrebbe potuto regalarci perle di rara bellezza ancora per anni; c'è il dolore dato dalla storia narrata in sé, stupefacente nel suo procedere in
perfetto equilibrio tra il crudo realismo pasoliniano con cui sono immortalati
i protagonisti e un poetico e straziante sapore da melodramma di periferia,
capace di strappare il cuore anche allo spettatore più duro di sentimenti.
C'è un'annotazione malinconica su un
cinema fuori dal tempo e fuori dalle mode, così introvabile in Italia, un cinema che Caligari ha
potuto incidere su pellicola, soltanto tre volte
nell'arco di un trentennio, un vero delitto se pensiamo che tutto ciò ha
prodotto "Amore tossico" (stupendo dramma sulla dipendenza da droghe
negli anni 80) e "L'odore della notte" (vero noir, ambientato nella
periferia più oscura di Roma), prima, appunto, di "Non essere
cattivo".
Ma andiamo per ordine. È una Ostia di metà anni 90, quella disegnata con precisione fin dalla prima panoramica sul lungomare autunnale: il lido della Capitale ripreso allo spegnersi delle luci estive. Lì, tra il nulla e il vuoto, c'è la storia di Cesare e Vittorio, amici per la pelle da quando erano ragazzini, che tentano di dare un senso alle loro giornate sballandosi in continuazione e inframmezzando il rito del farsi con piccole attività illecite, utili giusto per comprare la prossima dose da spararsi. Questa è la loro vita, costellata di presenze simili: giovani e meno giovani emarginati da un progresso che li ha relegati ai margini della società che provano a sopravvivere.
L'ironia con cui Caligari pennella i caratteri dei due protagonisti,
interpretati divinamente da Luca Marinelli (attore ormai di classe superiore) e
la sorpresa Alessandro Borghi, non tradisce un realismo di borgata che
penetra nel cervello e nelle ossa dello spettatore.
Il senso di noia
e inutilità sempre opprimente: lo si sente quando si guarda il mare, quando ci
si siede al bar dell'angolo dove ci si ubriaca prima della sniffata del giorno,
quando si torna a casa all'alba con gli occhi sfatti per troppe allucinazioni
che sembrano sempre più lontane quando il sole si alza all'orizzonte. la sua
L'ambizione del regista è quella di creare un vero romanzo di vita
vissuta, un affresco corale di una gioventù bruciata non per amore della
trasgressione ma perché giocoforza costretta a recitare nella
comunità il ruolo
di coloro che sono emarginati.Il passaggio dalla cocaina alle pasticche è come un passaggio del testimone a un'altra epoca: novità del nuovo millennio si affacciano alle porte di questa tristissima eppure bellissima Ostia, un finale aperto lascia il dubbio sul futuro di questa generazione sbandata. Riusciranno a vivere la vita senza venirne annientati? Caligari questo non lo dice. Ma quello che ci dona fino ai titoli di coda è già tantissimo e abbiamo il dovere di custodirlo nel modo più amorevole possibile.
mercoledì 19 ottobre 2016
Johnny Cash - Gods gonna cut you down
You can run on for a long time
Run on for a long time
Run on for a long time
Sooner or later God'll cut you down
Sooner or later God'll cut you down
Run on for a long time
Run on for a long time
Sooner or later God'll cut you down
Sooner or later God'll cut you down
martedì 11 ottobre 2016
domenica 9 ottobre 2016
sabato 8 ottobre 2016
Ivan Graziani
E' difficile
descrivere a parole quel misto di unicità e ribelle provocazione che l'ascolto
dei testi di Ivan Graziani mi hanno sempre provocato.
La sua
grazia ribelle, ma allo stesso tempo nostalgica e fortemente radicata nel
quotidiano, il suo romanticismo delicato, la sua autoironia mi hanno sempre
lasciato qualcosa dentro, qualcosa di assolutamente inspiegabile.
Al Sanremo
del 1985, a cui partecipò con poca convinzione con i suoi grossi e caratteristici occhiali
colorati, la sua amata chitarra elettrica e il testo di quella fuga d'amore in linea con la tradizione rock'n'roll tra ricordi, speranze,
murales, ferrovie, vagoni, polizia e un padre incazzato nel pop di 'Franca,
Ti Amo' avevano fatto capire che Graziani era fuori dal comune.
Solo anni dopo capii che l'ultimo di quella classifica sarebbe diventato il
primo della mia.
A Sanremo ci tornò nel 1994 con 'Maledette Malelingue'.Andò meglio.
Quando nell'adolescenza i gusti musicali cambiano come le stagioni, la voce
e i vestiti, scopri che dentro l'audiocassetta di IVANGARAGE (1989), comperata
per quel titolo rock, dedica una canzone ai metallari ('I Metallari)',
giocando, a suo modo, con i soliti luoghi comuni e tu sei appena tornato a casa.
La voce che cantava: "I metallari, condannati a ricucirsi da
soli".
Quando scopri il sesso e capisci che la sua ostentata, e mai nascosta,
ossessione per il corpo femminile con le sue colline bianche e solchi misteriosi
è anche la tua e quella di tutti quelli
come te."Le scarpe da tennis bianche e blu, seni pesanti e labbra
rosse ..." da 'Lugano Addio'. "E se tu le vuoi
incontrare, uguali come gocce d'acqua Dada la grande e Ivette senza tette, le
due cugine strette" da 'Dada'.
Il 6 Ottobre 2016, avrebbe compiuto i suoi 71 anni.
mercoledì 5 ottobre 2016
Piero Ciampi, punk prima di te
"Se mi vogliono mi pagano, quelli della Rai sono ricchi, hanno mocassini di lusso che costano anche diecimila lire"
Piero Ciampi
Con questa frase Piero Ciampi, nel 1976, rifiuta, pur bisognoso di pubblicità, di farsi riprendere dalle telecamere del Premio Tenco. Dopo due inviti negli anni precedenti, rispettivamente finiti nel nulla o in un telegramma che recita un dimesso ed esaustivo "Non sono potuto venire. Piero", ecco che finalmente il cantautore livornese approda sul più importante palco della storia della nostra canzone.
Quella a cui il pubblico assiste quella sera è la più punk tra le esibizioni live della nazione, una sorta di declinazione da chansonnier di derivazione francese di quel Sid Vicious che canta "My Way", prende la pistola e spara al pubblico immobile. Dopo aver ottenuto il cachet di 130.000 lire in netto anticipo sui suoi colleghi, seducendo e ricattando il fondatore del Tenco Amilcare Rabaldi e infine minacciandolo di non salire sul palco, Ciampi si presenta alla platea ubriaco, appena rientrato da una lunga sessione di vino e birra.
Con un ritardo pazzesco e su una base che parte ed è costretta a occupare il tempo da sola, Ciampi attacca il primo dei quattro pezzi che eseguirà nella mezzora a sua disposizone: una versione assolutamente inedita, testo e cantato, di "Te lo faccio vedere chi sono io". L'immediata sensazione, all'ascolto della registrazione più che casalinga di quell'ultimo recital del cantautore, è di una triste e imbarazzante monologante variatio delle versioni orginali dei suoi brani, sensazione destinata a disperdersi col procedere del live. Prima di eseguire "Adius" e di gridare a gran voce il più celebre vaffanculo della canzone e d'Italia, Ciampi riesce a discutere con il pubblico rispondendo sonoramente a un timido contestatore con l'ormai epica frase: "tu sei un anonimo, se vuoi parlare devi venire qua, io rischio e te no" e insieme a dare vita al Ciampi degli annali, grazie a un improvvisato micro trattato sul discorso amoroso, spiegando che un uomo, per conquistare una donna, deve sempre essere debole perché un uomo che fa la corte è sempre debole per definizione.
Discorsi che hanno il potere immediato di trasformare la regolare e pettinata normalità di una kermesse di giacche, in un ring tra il poeta e l'ascoltatore, tra il potere naturale dell'arte e l'ordinato potere degli spazi a essa dedicati. Piero Ciampi è sbronzo, ma uno sbronzo che non perde mai il lume, trasformando una situazione ai limiti nell'occasione che il premio Tenco stava aspettando per esistere in sé stesso, per essere celebrato attraverso un live-verità irripetuto. Mentre il punk Ciampi, nel 1976, a due passi da una morte per tumore alla gola, ancora pagava il prezzo del rappresentare l'ultimo buco nell'acqua della discografia italiana, quel L'italiano cioè che doveva essere, stando ai giornaletti dell'epoca, il cantautore emblema della temeraria follia della Ricordi, altrove si costruivano a tavolino band che su innaturali sregolatezze e forme di antagonismo preconfezionato avrebbero costruito storie e carriere di maggiore successo.
Alla struggente versione di "Ma che buffa che sei" che pure in pessima qualità sembra restituire ogni strato poetico dell'originale, è il monologo che apre l'esecuzione dell'ultimo pezzo, "Il giocatore", a reggere tutta la potenza dell'intero live. Che cos'è il giocatore? Ciampi ce lo spiega:
"Il giocatore è un guerriero che tiene in mano una spada con cui cerca di inculare il denaro, bisognerebbe dargli una pensione"
Dice proprio così, sul palco del Tenco, Piero Ciampi, nel 1976, dopo aver zittito un pubblico dapprima sgomento per la sua sbronza colossale e poi evidentemente attonito di fronte a un talento così violento e invadente da assorbire. E aggiunge: "il giocatore è l'unico che ha capito la micidialità del denaro, il denaro ci frega tutti"
Niente di nuovo per Ciampi, che già aveva abbondantemente scritto il verso "Il denaro è un porco", di volta in volta sintetizzando e raccontando il rapporto più complicato della sua vita insieme a quello con l'alcool e a quello con le donne - la cui qualità ruotava costantemente proprio intorno a vino (troppo) e denaro (sempre troppo poco).
Sconcertante è la naturalezza con cui questo autore sia riuscito a portare avanti in modo del tutto selvaggio e prescindendendo dai luoghi deputati alle proprie performance, una precisa forma di talento e rabbia, il modo in cui non si sia mai posto al gioco della tv e della forma spettacolo, comportandosi da indipendente prima della musica indipendente e portando sui pochi palchi solcati l'immobilità plastica (Senza rete, 1970) o la composta rabbia di chi, già molto prima di cantare i cantatissimi ultimi, aveva trascorso una vita come fosse predestinato ad arrivare ultimo.
Il live del 1976 è un evento di cantautorato-verità e punk senza successori, Ciampi non ha paura né niente da perdere e non c'è ragione per non mostrarsi nudo di fronte a tutti a rivelare i drammi delle dinamiche amorose, familiari ed economiche, il dolore della solitudine che si prova solo se si è in due, la pura tristezza delle angosce del vivere.
In fondo nient'altro è richiesto a un poeta, come lui non esitava a definirsi prima che il suo volto diventasse emblema di maledettismi che Ciampi stesso non avrebbe capito, impegnato com'era a guadagnarsi bevute e giuste mani di poker.
domenica 2 ottobre 2016
sabato 1 ottobre 2016
Gomorra - La serie
E’
innegabile come, nel nostro paese, le serie tv coprano un ruolo del tutto marginale
all’interno del panorama dell’intrattenimento televisivo. Al loro posto
troviamo le fiction, tipologia sempre seriale che offre da noi ben poco in
termini di attrattiva e di vera e propria qualità di visione. Tra l’altro,
fatta eccezione per pochi casi tutto si riduce a 2 generi che dalle nostre
parti risultano inflazionati oltremisura: il romantico e il poliziesco.
Si, perché
di prodotti a sfondo mafioso o che cercano in tutti i modi di emulare la vita
del commissariato ne son pieni i palinsesti in Italia, inutile girarci intorno.
Eppure vi sono delle eccezioni. Una di queste è Romanzo criminale, ad
opera di Stefano Sollima, il quale ha provveduto, da solo, ad alzare
esponenzialmente la qualità delle produzioni televisive italiane, sebbene sia
stato un caso prettamente unico. Almeno fino ad oggi. Si perché si è finalmente
deciso a tornare dietro la macchina da presa con una serie graffiante, superba,
spettacolare.
Gomorra -
la serie narra la storia
dei Savastano, potente famiglia
della mafia napoletana stanziata a Secondigliano, composta dal boss Don
Pietro, dalla moglie Imma e dal figlio Gennaro. Intorno a
loro ruotano numerosi personaggi che arricchiscono, grazie al loro carisma e
alla loro forte personalità, l’intero intreccio narrativo. Uno di questi è il
braccio destro di Don Pietro, Ciro “L’immortale” Di Marzio, che
si rivelerà essere il vero membro chiave della vicenda. Di contraccolpo
ritroviamo il gelido e religioso Salvatore Conte, da sempre rivale dei Savastano.
Inutile dire che, dopo un predominio iniziale, le vicende subiranno un brusco cambiamento dove lo spettatore si troverà sempre più immerso all’interno di una storia che non lascia spazio a ripensamenti, priva di lieto fine. Perché in determinati ambienti non esistono i colori, ma tutto assume un tono perennemente cupo e ovattato, tutto sembra uguale. Ci ritroveremo più volte a fare il "tifo" per la persona sbagliata, travisando ciò che Gomorra vuole realmente essere: uno scorcio su di un mondo che cosi’ tanto ha fatto discutere, ma del quale forse si conosce veramente poco.
Inutile dire che, dopo un predominio iniziale, le vicende subiranno un brusco cambiamento dove lo spettatore si troverà sempre più immerso all’interno di una storia che non lascia spazio a ripensamenti, priva di lieto fine. Perché in determinati ambienti non esistono i colori, ma tutto assume un tono perennemente cupo e ovattato, tutto sembra uguale. Ci ritroveremo più volte a fare il "tifo" per la persona sbagliata, travisando ciò che Gomorra vuole realmente essere: uno scorcio su di un mondo che cosi’ tanto ha fatto discutere, ma del quale forse si conosce veramente poco.
E’ difficile analizzare un prodotto forte e “distaccato” come Gomorra, perché, seppur nella finzione, lo scopo degli addetti ai lavori di farti sentire parte di un mondo cosi’ pesante e reale lascia sbalorditi, intontiti, affascinati per certi versi ma incapaci per altri di capire bene ciò che ci circonda.
La serie cattura grazie alla sua incredibile atmosfera e grazie alla superba fotografia, che catapulta lo spettatore nelle zone più corrotte dell’entroterra napoletano mostrando una realtà forse solo immaginata fino ad ora. Grazie anche alle ricostruzioni di Saviano fatte attraverso testimonianze di pentiti, file archiviati e quant’altro e sotto la sapiente mano di Sollima il quadro appare molto più concreto di quanto ci si aspetterebbe. Una cura minuziosa per i particolari, una ricercatezza negli ambienti, nelle musiche, nei dialoghi semplicemente perfetta. Ma nulla di tutto questo sarebbe possibile senza il supporto di un cast all’altezza.
Gli attori
con la loro bravura amplificano la già superba caratterizzazione dei singoli
personaggi, dando il meglio nelle situazioni più critiche, dove la forte
personalità di ogni singolo componente di questa intricata storia prende il sopravvento.
Esemplare dimostrazione di come nel panorama italiano ci sia bisogno di nuovi volti, dando magari la possibilità a innumerevoli attori dal formidabile talento che ad oggi non hanno la giusta visibilità di dimostrare il loro valore. Perché l’alchimia creata all’interno di questo serial dai personaggi che ne fanno parte è notevole, ed è un peccato che questo resti un evento isolato.
Insomma, un prodotto che ha lo stesso effetto di un fulmine a ciel sereno, che cattura, e che difficilmente mollerete dopo una prima visione. Una vera e propria prova di qualità made in Italy, che non faticherà a trovare consensi anche al di fuori dei confini nazionali (la serie è già stata acquistata da innumerevoli network stranieri) e che, siamo sicuri, verrà ricordata a lungo nel corso degli anni.
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