Non è solo il traffico il problema di Palermo, ma anche l’amore. Soprattutto
l’amore. “Qui la gente non si ama più, i fratelli odiano i fratelli, le mogli
scappano con quelli che arrivano da fuori… gli animi si sono induriti, gli sguardi
sono schivi e sospettosi, si sentono anche colpi di pistola nella notte” dice
il ragazzo fissando un boccale di birra sul bancone, la voce impastata dalla
fatica bestiale della giornata trascorsa a scavare buchi nel fango; si passa le
dita della mano sinistra tra i capelli biondo pallido e con la destra aggiusta
il revolver con l’impugnatura in avorio e argento sotto l’incerata, per stare
più comodo sullo sgabello, in previsione delle ore e delle birre che
seguiranno, qui al Bar&Grill, unico bar di Palermo, Nord Dakota. Il ragazzo
guarda poi fuori dalla finestra offuscata dalla polvere, verso la spianata in
terra battuta dove si trova la chiesetta luterana di legno bianca, detta
l’angelo della prateria: “Ecco, a Palermo non c’è più Dio, questo è diventato
un posto maledetto”.
È la maledizione del petrolio. Perché questa
regione nord orientale del Nord Dakota, al confine con il Canada, galleggia sul
più grande bacino petrolifero del mondo, la Bakken formation: un
milione di barili succhiati ogni giorno che entro tre anni saranno già tre
milioni: praticamente un nuovo Texas, o un nuovo spietato elettrizzante
Klondike; vite stravolte dalla ricchezza raggiunta e vite devastate
dalla ricchezza mancata, quasi sempre per un pelo. Terre relegate alla
periferia della modernità americana,
in the middle of nowhere,
sinonimo di un nulla inutile e anacronistico: qui fino a cinque anni fa l’unica
esportazione erano i giovani che fuggivano da una landa crudele sferzata da
venti artici, abitata solamente da una piccola comunità di caparbi e spartani
contadini d’origine scandinava e da qualche centinaio d’indiani alcolizzati.
Strade deserte, trattori arrugginiti ai margini dei villaggi, fattorie
pencolanti e silos vuoti, ecco la Mountrail County, una delle contee più miserabili
del Paese divenuta, nel giro di un lustro, la terza più ricca d’America. E
Palermo, che nell’ultimo censimento del 2010 contava 74 anime e un reddito
medio di 25 mila dollari a famiglia, ora registra 500 abitanti e – secondo una
stima dell’American Bank Center di Stanley, capoluogo della contea – un reddito
medio pro capite di 150 mila dollari. “Dicono che qui a Palermo ci sono almeno
trenta milionari” dice Malle, 21 anni, cowgirl venuta dal vicino Montana per
servire ai tavoli per 17 dollari l’ora (una cassiera da Sax Fifth Avenue a New
York, per dire, ne guadagna nemmeno dieci): “Sai mica quanti sono i milionari
nella vostra Palermo?” chiede Malle.
L’emirato del Nord Dakota
Si chiama shale
revolution. Se era noto che oltre le rocce scistose a due, tre chilometri
sotto la prateria c’era un mare di petrolio è però solo grazie alla tecnologia
che ora questo Far West si sta trasformando in una specie di emirato
nordamericano. Gas e petrolio, come accade altrove negli Stati Uniti, vengono
liberati con la frantumazione idraulica, il cosiddetto e controverso fracking,
pratica di trivellazione con cui si sparano in profondità enormi quantità
d’acqua, sabbie ceramizzate e cocktail segreti di sostanze chimiche anche
letali; ma solo qui in Nord Dakota sono andati oltre: dopo la perforazione
verticale, si procede con quella orizzontale anche per altri tre chilometri,
finché non si pesca il petrolio. Praticamente è impossibile fallire. Se gli
Stati Uniti sono avviati verso l’autosufficienza energetica, anzi, se dallo scorso
agosto hanno cominciato addirittura ad esportare petrolio raffinato dopo
quarant’anni, è perché sotto Palermo e dintorni c’è un bendidio
stimato di almeno 500 miliardi di barili estraibili grazie al fracking: secondo
gli studi della McKinsey, il Nord Dakota potrebbe trasformare l’America nel
primo produttore mondiale, davanti a Russia e Arabia Saudita.
Miracolo nella prateria
Palermo doveva
morire. Nel Duemila il New York Times la citava in prima pagina come
esempio dell’agonia dei piccoli centri della Grande Prateria, mentre il resto
del Paese viveva il suo ultimo boom: “A due passi dalla ferrovia che ha
alimentato il mito della frontiera” si leggeva “la scuola, il municipio, i
silos, la banca, il ferramenta, l’alimentari degli anni Trenta e il supermercato
degli anni Ottanta sono frequentati unicamente dai corvi… solo il bar e la
chiesa tengono duro, assieme a qualche fattoria di contadini che sono troppo
vecchi o troppo poveri o troppo orgogliosi per partire”. Ora l’incrocio tra
Broadway Street ed Elton Avenue, dove si trova il Bar&Grill, è così
trafficato che stanno per piazzarvi addirittura un semaforo (l’ultimo
intervento urbano era stato nel 2001 un’insegna all’imbocco del paese, per
l’elezione di miss Nord Dakota, Michelle Guthmiller, nativa di Palermo).
“Raccontano che qui sentivi il latrato del coyote a dieci miglia” dice l’ex
cowgirl “il silenzio della prateria era come una coperta calda”. Ora bisogna
parlare a voce alta per contrastare il rumore della lunga, interminabile,
teoria di mezzi pesanti, tir e semiarticolati, pick up, trailers là fuori.
Prima che un pozzo diventi operativo servono duemila camion d’acqua, sabbia,
materiale di scarto; e i pozzi in attività sono già trentamila. “Questa è la
nuova febbre dell’oro”dice Bob, 32 anni, arrivato dall’Arkansas: “Un torrente
di adrenalina, come in California ai primi dell’Ottocento durante la Gold
Rush”.
Miracolo nella prateria
Uomini, solo uomini. Ne sono arrivati oltre centocinquantamila, da ogni
parte del Paese, in uno Stato di seicentomila abitanti. Spesso con lo zaino in
spalla e pochi dollari in tasca, in modo romanzesco e hollywoodiano, come
accade quando si fa la Storia qui nel West. Arrivano a frotte, ogni giorno, in
fuga dalla recessione, dagli ufficiali giudiziari, per pagare gli alimenti alla
moglie o il college ai figli. O per rimettere sui binari in extremis una vita
deragliata. Bob racconta che lui di mestiere controlla che non ci sia acqua di
scarto nel petrolio, “un lavoro” dice “che potrebbe fare un asino, ma ci
guadagno oltre centomila dollari l’anno”. Un camionista, anche neopatentato, in
un anno fa intorno i centocinquantamila dollari. Allen, tecnico petrolifero
arrivato addirittura da Dallas, la capitale del petrolio, dopo qualche birra al
bancone ha voglia di sfogarsi: “Mia moglie a casa non ha idea dei sacrifici che
faccio per darle una vita da gran signora… una macchina nuova ogni sei mesi…
Lei non sa che è come essere in guerra, o in prigione. Per guadagnare quel che
prendo qui in tre anni, circa due milioni di dollari, in Texas mi ci vogliono
vent’anni”. Vivono nei
men camps, accampamenti gestiti dalle stesse
compagnie, come la Terget Logistics, che hanno costruito le basi militari in
Afghanistan. Oppure si acquartierano nei trailers o nelle roulotte. “L’affitto
del terreno è mille dollari al mese” dice Joe che fa il tubista, 300 mila
dollari l’anno: “Quando sono arrivato dall’Iowa non c’era neanche dove comprare
il pane, per sfamarci dovevamo cacciare fagiani e tacchini selvatici”.
Il testosterone offusca la vista
La disoccupazione nella contea di Mountrail è intorno all’uno per cento,
tanto che mancano insegnanti, camerieri, infermieri: qualsiasi lavoro collegato
ai pozzi paga tre volte tanto. Mancano le case, le compagnie petrolifere
occupano qualsiasi fabbricato disponibile e se serve cacciano i vecchi dagli
ospizi, come racconta il sindaco di Tjoga, Nathan Germansson, 34 anni, titolare
del locale ferramenta: “Hanno acquistato l’immobile e hanno dato sessanta
giorni per sgomberare la casa di riposo, non ho potuto fare niente, mi sento
ancora male…” Ma quel che manca davvero, e disperatamente, sono le
donne.“Tacchi e gonne qui sono più rari degli hamburger vegetariani’ dice Mike,
21 anni, camionista arrivato dalla Florida. Prostitute che non hanno mercato a
Chicago, a Williston (15 mila abitanti nel 2010, oggi boomtown di circa 40 mila
e avviata ai 100 mila entro dieci anni, centro logistico ed economico della
regione petrolifera) mettono insieme anche mille dollari a sera. Christina,
barista arrivata dal Colorado, racconta che una sera un ragazzo le ha offerto
settemila dollari per andare a casa sua e assistere con lui, nuda, alla partita
del Super Bowl. Il testosterone si taglia con il coltello, offusca la vista: le
poche ragazze hanno paura di rallentare con l’auto agli incroci, nella vicina
Stanley al calar del sole per loro scatta il coprifuoco.
Siciliani alla conquista del West
Al Bar&Grill, a un certo punto intorno al bancone a ferro di cavallo si
confrontano due teorie sulla nascita di Palermo, avvenuta nel 1901, durante la
costruzione della Great Northern Railroad, la ferrovia che concludeva la
conquista del West arrivando da Chicago e Minneapolis fino al Pacifico
attraversando il Nord Dakota. C’è chi sostiene abbia preso il nome da una
squadra di siciliani che si erano accampati qui durante i lavori e chi invece è
certo che fu James Jerome Hill in persona, il tycoon del Midwest padrone della
ferrovia, a rendere così un tributo a un misterioso palermitano di Chicago il
quale fu tra quelli che lo sostennero finanziariamente in un momento di
difficoltà con le banche. Per il resto nel locale c’è molta incertezza, anche
sulla collocazione della Sicilia sul mappamondo. Difficile pure trovare un
italoamericano tra questi
roughnecks, come si chiamano i duri,
spavaldi operai e tecnici dell’oil business. Eppure a un certo punto, quando e’
evidente che i due tizi al lato estremo del bancone – gli unici sussiegosi e
selvatici, i soli a non offrire nemmeno un giro di birre – non intendono
partecipare alla conversazione, l’anziano Randel Ostdahl, coltivatore di
cereali, ma norvegese di buone letture, lo spiega alla palermitana: “Omertà”
dice. “Quei due sono tra quelli che hanno fatto il botto con i diritti
minerari, non parlano, sono terrorizzati dalla loro ricchezza”.
La roulette delle concessioni
Una terra minata da odio, invidia, rancore, ecco cosa è diventata l’ingenua,
rurale, miserabile Palermo. Per le leggi del Nord Dakota i proprietari del
terreno, dove magari sorge anche l’abitazione, non sono gli stessi titolari del
sottosuolo: si è sempre saputo dell’esistenza della formazione Bakken, negli
ultimi 50 anni ci sono stati anche un paio di sporadici boom, ma si attendeva
la soluzione tecnologica per far saltare il caveau sotterraneo: così molte
società petrolifere e speculatori di altri Stati hanno fatto incetta di
concessioni approfittando dei contadini ridotti alla canna del gas, famiglie
costrette a vendere magari per comprare una nuova mungitrice. Solo un
proprietario su cinque dei terreni dov’è estratto il petrolio ricevono gli
assegni dalle multinazionali. “La vita è carogna” dice Marlene Gundrerson che
lavora a una sorta di catasto a Stanley: “Io so chi riceve assegni mensili di
centinaia di migliaia di dollari e chi niente, so di matrimoni che vanno in
malora, di amicizie infrante, di fratelli che si sono sparati”. Accade che
nella stessa famiglia uno abbia ereditato un terreno che vale una fortuna, si
parla anche di 50, 80 milioni di dollari di royalties da incassare in
vent’anni, e chi campi di pannocchie senza diritti minerari, oppure dotati di
diritti minerari ma, scalogna suprema, collocati appena qualche metro fuori dal
perimetro del bacino. La banca di Palermo in cinque anni ha aumentato il valore
dei conti corrente di quasi il mille per cento. “Qui la gente non aveva mai
chiuso a chiave la porta di casa e ora vendo molte serrature” dice il sindaco
di Tjoga. “Gente che non aveva mai preso un giorno di vacanza improvvisamente
parte per due mesi, vedo auto di lusso uscire dalle stalle…”
La rivoluzione del luterano Lenin
Sul bancone si fa spazio Lenin Gunnarsson, 64 anni, dice che vive in un
trailer, un prefabbricato con le ruote. Parla forte perché quei due omertosi
sentano. Dice che lui è diventato un uomo ricco, che è un contadino in pensione
e riceve assegni da 80 mila dolori al mese per i suoi diritti minerari. Tira
fuori una lettera che gli scrisse suo padre 50 anni fa, un passaggio è segnato
con l’evidenziatore giallo e dice “quando hai un paio di dollari in tasca non
farlo mai intendere, siamo luterani non cattolici”. “Ma io me ne frego” fa
Lenin “voglio dire che sono un uomo ricco e che non spendo nemmeno un dollaro
di quello che incasso, il grano va tutto ai miei nipoti. Io vivo ancora con la
mia pensione e con l’affitto dei campi”. Lenin infine ordina un giro e guarda
tutti negli occhi: “Gente, volete sapere quello che penso? Vorrei non fosse mai
accaduta questa disgrazia”.
Testo di Marzio G. Mian
Foto e video di Alessandro Cosmelli
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