“Se mai
la musica di Guy Clark ha avuto un tema, è il Texas. Non quello delle mandrie
in viaggio o delle sparatorie, ma un Texas i cui abitanti lavorano duro e
bevono birra Lone Star a casse mentre discutono di quale sia il chilli più
piccante, quale la donna più dolce”: così l’estensore della scheda dedicata
a questo LP nella Mojo Collection. Più succinto e persino più efficace
quell’altro grandissimo cantastorie di Jerry Jeff Walker nella dedica che
campeggia sul retro della confezione di “Old No. 1”: “Guy scrive di uomini
anziani e treni vetusti e ricordi come fossero film in bianco e nero”. I quarantuno
anni trascorsi dacché il 33 giri raggiunse i negozi nulla gli hanno tolto e
forse niente aggiunto, siccome da subito dovette apparire un classico fuori dal
tempo.
Immediatamente “vecchio”, quindi destinato a
restare per sempre giovane. Si è semmai allungata a dismisura la lista degli
ammiratori, che erano parecchi e illustri allora, dal succitato Walker che già
aveva coverizzato un terzo della scaletta dell’album a Johnny Cash, che in
quello stesso 1975 fece un hit di Texas 1947, da Rodney Crowell ed
Emmylou Harris, a Steve Earle. Di quattordici anni più giovane del
trentaquattrenne Clark, quest’ultimo ne impiegherà ulteriori undici per
debuttare in proprio.
Innumerevoli
i tributi da allora e dall’intero arco del parlamentino country, da una
Nashville che dopo tanta diffidenza ha finito per adottare incondizionatamente
questo artista schivo per quanto è schietto a una folla di più o meno giovani
leoni. In tal senso onnipresente, Guy Clark continua dal suo canto a pubblicare
con la consueta parsimonia (dieci appena gli LP in studio più un live in tre
decenni) e ogni tanto vede un suo brano arrampicarsi nelle classifiche,
chiaramente in una versione altrui visto che in prima persona il successo vero
lui non l’ha mai conosciuto: quel che si dice una figura “di culto”. Ma più che
altro fabbrica chitarre, come già faceva nei tardi ’60 in una California mai
granché amata se fa fede un’agra L.A. Freeway.
Il percorso
che lo portò a “Old No. 1”: un piccolo romanzo come le canzoni di uno che,
significativamente, non viene chiamato dagli estimatori songwriter bensì
songbuilder. Cresce nella più profonda provincia texana, a Monahans, in
un vecchio albergo di proprietà della nonna, si compra la prima chitarra a
sedici anni con i risparmi messi da parte lavorando da carpentiere durante le
vacanze ed è un amico del padre a insegnargli i rudimenti dello strumento,
facendogli fare pratica con una manciata di tradizionali messicani. A Houston
qualche tempo dopo saranno nientemeno che Mance Lipscomb e Lightnin’ Hopkins a
spiegargli cosa sia il blues, ove lui di suo si immerge in un repertorio di
ballate inglese e irlandesi. Quel modo di raccontare storie trasparirà evidente
dai primi pezzi che scrive e canta di notte nei caffè, mentre di giorno fa di
tutto per campare, dal liutaio al direttore artistico di un’emittente
televisiva. Sarà la moglie Susanna, cantautrice anch’ella e pittrice, a
persuaderlo nel 1971 a cercare fortuna a Nashville. Ne troverà poca e ci
metterà un po’.
Si avverte
appieno, in questa pietra miliare, l’esperienza di un uomo che ha già vissuto
molto e sa raccontartelo con una capacità di rendere i sentimenti con una
vividezza pittorica unica. È ciò che rende indimenticabili canzoni musicalmente deliziose, con ritornelli corali
che ti paralizzano tanto sono istantanei e un odore di polvere da campagna
riarsa che si leva dagli intarsi di dobro e dallo scivolare di una pedal steel,
nel frattempo che un violino dichiara che sono qui la festa e il dolore
quotidiano che chiamiamo vita. Poche figure femminili nella storia della
canzone d’autore americana permangono nella memoria come la “honky tonkin’ Rita
Ballou” della canzone omonima (forse una dirimpettaia della Loretta
dell’amico Townes Van Zandt) o la prostituta in lacrime al funerale di un uomo
altrimenti dimenticato da tutti alla fine di Let Him Roll. E chi ha mai
reso l’amarezza che lascia la mattina dopo un simulacro d’amore raccolto in un
bar come Clark in Instant Coffee Blues? Chi la bellezza di un’amicizia
fra generazioni lontane come in Desperados Waiting For The Train?
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