“Il Sassofono l’ho imparato a suonare nel
riformatorio di Pontiac. Pontiac era chiamata “la scuola”, perché accoglieva solo ragazzi;
io ne ho frequentate di scuole del genere, scuole che non si trovano mai
elencate nella lista dell’associazione dei genitori e degli insegnanti. Tre
prigioni e le più svariate sale da gioco furono le mie scuole medie; il
bordello fu l’università, e la laurea l’ho presa fra la taverna, la sala di
ballo ed altri luoghi non ben visti dalla legge. Pontiac, dunque , non è stata
che l’asilo per me”.
Negli scaffali polverosi di un negozio di libri
usati un giorno mi sono imbattuto nell’autobiografia di Milton Mezzrow,
ebreo russo cresciuto nella Chicago di inizio secolo. Sassofonista e
clarinettista, ricordato
soprattutto per aver dato vita ad alcune
storiche registrazioni jazz e per la sua lunga amicizia con Louis Armstrong, al quale per
un periodo fece anche da manager.
Oltre ad esser stato un valente jazzista, Mezzrow
diventerà famoso nei bassifondi di Chicago come spacciatore di marijuana,
tanto che la parola “Mezz” diverrà ben presto il termine slang per indicare il
suddetto stupefacente. Erano anni in cui marijuana ed oppio, soprattutto tra i
musicisti, circolavano parecchio.
Questo libro rappresenta l’attestato formale di
nascita del Jazz, la
testimonianza diretta di uno dei protagonisti che ha visto compiersi la prima
grande rivoluzione della storia della musica. Certamente Mezzrow c’è stato
dentro, si è sporcato le mani, ha assorbito mentalità, idee, meccanismi,
atmosfere. Un
vero romanzo di formazione, un’autobiografia legata alla “cattiva strada”, in cui traspare la cultura Americana dell’epoca. Un
libro duro, nudo e crudo, avvincente perché vero. La rabbia del Jazz, la
malinconia, l’entusiasmo. Un caleidoscopio di prigioni, improbabili locali,
spacciatori, prostitute, Jazzisti maledetti.
“ … Adesso, qualche volta, quando suono quei
dischi, e chiudo gli occhi, e mi faccio dominare da quegli strani lamenti,
comincio a piangere e mi dico: amico, forse ce l’hai fatta, forse questa è vera
musica. E mi metto a pensare che un giorno o l’altro il caro e vecchio Louis,
il magnifico Louis Armstrong, udrà questa mia musica e allora capirà come e per
che cosa io abbia combattuto tutti questi anni, e forse la nostra antica
amicizia tornerà ancora a brillare. E quando creperò non voglio che nessuno
porti il lutto per me. Prendete il mio corpo, mettetelo in una fornace, e
quando sarò ridotto a un pugno di cenere, prendete questa cenere e fatela
fondere con un po’ di cera e fatene un disco che rechi l’etichetta “King Jazz”.
No, non scriveteci sopra “D.A” (tossicomane), scriveteci semplicemente ”qui
giace Mezz, finalmente a casa”. E su una faccia incidete “Gone Away Blues”,
sull’altra “Out Of The Gallion”, e poi speditelo ad Harlem, datelo a qualche
moccioso monello che non abbia i soldi per entrare all’Apollo a comprarsi un
bicchiere di birra. Si metterà a suonare quel disco e continuerà a suonarlo,
una due tre volte, finchè non l’avrà spezzato".
Milton “Mezz” Mezzrow