Nella Germania del secondo dopoguerra, tra il 1948 e il 1968, Hans viene imprigionato più volte per via della sua omosessualità. Per colpa dell’articolo 175, che considerava un crimine i rapporti sessuali tra uomini, il suo desiderio di libertà e amore viene sistematicamente frustrato e distrutto. L’unica relazione stabile della vita di Hans diviene quella con il compagno di cella Viktor, con il quale inizialmente i rapporti sono conflittuali, violenti e tesi.
Le volontà cinematografiche di Sebastian Meise sono evidenti fin dalla prima sequenza, quella dei rapporti sessuali clandestini intrapresi da Hans (Franz Rogowsky) in un luogo non meglio specificato ma monitorato continuamente dalle forze di polizia che proiettano queste immagini poco prima del processo, pur di incastrare in tutto e per tutto Hans nel famigerato “paragrafo 175”, istituito fin dal 1871, che considerava crimini i rapporti tra persone dello stesso sesso.
Great Freedom appartiene in tutto e per tutto a quel cinema di denuncia che non ha alcuna intenzione di tirarsi indietro rispetto agli elementi e fatti più scandalosi e crudi della vicenda raccontata.
Meise ci va giù duro, il suo è un cinema politico, un lavoro con molti temi ed elementi perfettamente bilanciati. Analizzando la storia del dopo guerra della Germania, l'essere queer prima della decriminalizzazione, e come la logica soffocante dell’incarcerazione crei una prigione mentale tale che quella reale diventa quasi irrilevante.
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