In una
possibile lettura alternativa, la celebre teoria di Brian Eno su "chi ha comprato The velvet underground & Nico poi ha formato una band" può diventare un
aneddoto su quanto poco quel disco abbia venduto, e quindi su quanto fosse
ignorato e sottovalutato alla fine dei lungimiranti Sessanta. È altamente
improbabile che i Velvet Underground potessero mai diventare idoli di qualche folla dando le spalle al
pubblico e non avendo in organico nessuno in grado di adoperare il bacino
secondo i dettami della gloriosa tradizione dei frontmen, ma è almeno errato
dipingerli come gruppo totalmente ignorato. La band (line-up per i
neofiti: Lou Reed, voce
e chitarra,John Cale, viola, organo e poche volte basso,
Sterling Morrison, chitarra e Maureen Tucker, percussioni) e Nicoerano seguiti in tour da Andy
Warhol per l'allestimento dell'Exploding Plastic Inevitable, il quale li
consigliava, li coccolava e faceva scrivere il suo nome bello grosso sui
manifesti. La cosa era più che sufficiente a garantire un certo hype.
Tutti i fattori che fecero di "The Velvet Underground & Nico" un
fiasco commerciale, da potenziale macchina da hit che era, furono però
determinanti al concepimento del suo successore, "White Light/ White
Heat", stampato nel 1969 dalla Verve e inciso da un gruppo a dir poco
diverso da quello della banana. E non stiamo parlando solo di line up.
All'indomani delle tribolazioni legate all'esordio, i Velvet Underground,
frustrati dallo scarso successo, in particolare Reed, e dal non avere soldi per
altro che non fosse cibo, sigarette o droga, decidono che la cosa da fare è
chiudere con le performance nelle gallerie d'arte e confrontarsi con
l'industria discografica vera e propria. Per farlo, licenziano Warhol, che
ritengono comunque stanco di loro. Suonano molto dal vivo, con gente come Zappa e i
grandi nomi della West Coast, o con gli MC5. Questo genera un'evoluzione in
ambito strettamente sonoro. La gente che sta sotto il palco vuole ballare, non
ha frequentato scuole d'arte e non ci sono immagini proiettate che la
distraggano. I Velvet diventano meno minimali e più "hard". Reed che
ha sempre avuto un certo amore per i ritornelli catchy e le canzoni
"gioiellino", ritiene che la strada da seguire sia quella segnata dai
brani che aveva a malincuore fatto cantare a Nico. Cale, sempre meno disposto a
imbracciare il basso, crede invece che bisogni sperimentare, e la sua strada
passa dal rendere i "gioiellini" minacciosi, grandiosi ed epici.
La leggenda
narra che il produttore fosse intento a pomiciare per la gran parte della
lavorazione, svoltasi non esattamente nello studio migliore d'America, e che la
cosa innervosisse tremendamente Reed. Secondo Cale, l'idea di registrare a
volumi follemente alti fu frutto di queste incazzature. Manca un secondo perché
l'album duri 40 minuti, e in fase di composizione coesistono la vena folk e
quella proto-noise e sperimentale della band. In fase di esecuzione ci si
sbilancia nettamente verso la seconda.
Il disco in esame sarebbe un capolavoro anche in virtù delle sole "The
Gift", "Lady Godiva's Operation" e "I Heard Her Call My
Name", ma dopo c’è "Sister Ray", e si parla di leggenda. Per 17
minuti i nostri si svenano su volumi stratosferici, come si indovina dai
difetti di registrazione. Il testo raccontava di un festino gay con morto, la
musica, o quello che se ne sapeva prima di attaccare le spine, si sarebbe
dovuta sviluppare intorno a poche idee melodiche e ritmiche basiche, e dalla
linearità non si doveva staccare.
A fine ascolto la qualità sonora pessima diventa quasi un tratto determinante:
è difficile immaginare "White Light/ White Heat" registrato
decentemente.
Le immagini meno facili rispetto a quelle del predecessore, l'ambizione
maggiore e le soluzioni più estreme lo rendono più alieno, la concisione evita
che cada nei difetti più consueti per quelli della sua specie. Se l'esordio era
una stanza aperta su agghiaccianti finestre, questo è uno sgabuzzino con una
porta che dà su strade fredde e buie, ma allettanti. Se di "The Velvet
Underground & Nico" si può essere appagati e soddisfatti, di
"White Light/ White Heat" no, mai. Se ne vorrà sempre ancora.