martedì 26 ottobre 2021

Re / Search William S. Burroughs - Brion Gysin

 

 "Un genio: l'unico scrittore veramente geniale dell'ultimo dopoguerra". Così trent'anni fa Burroughs veniva definito da Norman Mailer. 

Dopo aver ispirato tutte le correnti artistiche d'avanguardia, dal punk al postmodernismo, cresce finalmente una devota attenzione nei confronti dell'incredibile attività artistica di W.S. Burroughs. 

Questo libro possiede l'indubitabile merito di rileggere "il demone" Burroughs a partire dai movimenti e dalle scene artistiche più radicali. Vengono così chiariti i suoi forti legami con le culture sperimentali e le avanguardie di tutto il mondo, oltre al senso della sua poetica in rapporto alle tematiche del cut-up e della pittura: l'ultima frontiera della sua ricerca comunicativa. 

Non poteva mancare pertanto un doveroso tributo nei confronti di Brion Gysin, pittore visionario, già surrealista, amico e nume tutelare della stessa ricerca burroughsiana, qui riscoperto e tratteggiato con puntuale attenzione.

 "Il suo folle genio è stato lo specchio perfetto del suo tempo" così lo ha descritto J.G. Ballard, qualche giorno dopo la sua morte.

 

 

 

Swans - You're Not Real, Girl

 


lunedì 11 ottobre 2021

High Rise – Ben Wheatley (2015)

 







Correva il glorioso anno 1975 quando la fervida immaginazione del visionario scrittore J. G. Ballard – vate della fantascienza sociale grazie a opere seminali quali La mostra delle atrocità e Crash – partorì High Rise (Il condominio), spietata e grottesca satira sulle pericolose e inquietanti derive di un microcosmo abitativo i cui componenti si trovano a vivere una terribile involuzione specchio di una società già allora vicina al collasso totale.

 Il grande successo di pubblico e il profondo impatto culturale esercitato dal romanzo fin dalla sua pubblicazione spinsero il produttore Jeremy Thomas a progettarne un ambizioso adattamento cinematografico, segretamente e disperatamente covato per oltre quarant’anni e sul quale si sono avvicendate personalità di grande spessore, tra cui Stanley Kubrick, Nicolas Roeg e Vincenzo Natali. Tuttavia è toccato a Ben Wheatley raccogliere la sfida alle soglie del 2013, affidandosi alla collaborazione della compagna sceneggiatrice Amy Jump per poter finalmente vedere rappresentate sul grande schermo le vicissitudini del dottor Robert Laing (Tom Hiddleston), fascinoso fisiologo inglese da poco trasferitosi in un imponente grattacielo facente parte di un avveniristico complesso residenziale progettato dall’architetto Anthony Royal (Jeremy Irons), con l’intento di replicare strutturalmente le stratificazioni della piramide sociale.

Ben presto, però, una serie di misteriosi incidenti e blackout iniziano a compromettere il già precario equilibrio dello stabile, dando vita a una guerra intestina fra le varie fazioni d’inquilini che vede i piani bassi, capitanati dal tecnico televisivo Richard Wilder (Luke Evans), ribellarsi allo strapotere delle élite asserragliate nei lussuosi attici, il tutto mentre gli istinti più feroci e primordiali iniziano a prendere il sopravvento su ciascuno dei residenti.

High Rise – La rivolta, appare come una delle trasposizioni filmiche più oneste e riuscite di un’opera letteraria che siano mai state realizzate, in particolare grazie alla felice intuizione di non concedersi alcuna eccessiva libertà interpretativa per seguire diligentemente la scansione narrativa dell’originale racconto ballardiano, rifiutando qualunque pretesa di adattamento in chiave postmoderna e mantenendo dunque l’originale e suggestiva ambientazione anni ’70, un passato/futuro dai fortissimi connotati techno–vintage riscontrabili tanto negli arredi quanto nella patinata fotografia pastello.

High Rise ci proietta in un doppio allucinante percorso: quello ascendente compiuto da Miller verso le sommità del grattacielo per ingaggiare la catartica lotta finale con l’architetto-demiurgo (rimando al Fredersen di Metropolis) e quella pericolosamente discendente di una civiltà in declino destinata a regredire allo stadio più ancestrale e animalesco sotto al peso dei propri vizi e delle proprie colpe.


 
 

La notte che bruciammo Chrome - William Gibson (1986)

 

Dieci racconti di un inconsueto, sconvolgente autore, che ha modificato tutti i parametri della moderna fantascienza. Con William Gibson nasce infatti il nuovo, appassionante filone del cyberpunk, un mondo abitato dai cowboys del computer e da mercenari biologicamente amplificati, un mondo ad alta tecnologia che, lanciato ormai verso nuovi orizzonti, supera i vecchi parametri della sf tradizionale per approdare su nuovi lidi. Una rinnovata sensibilità ai problemi creati dall'avvento delle intelligenze artificiali, illuminata da sprazzi di luce violenta, che ha fatto parlare di una nuova ondata di romanticismo venato di poesia ad altissimo voltaggio.

La Notte che Bruciammo Chrome pubblicata per la prima volta nel 1982, contiene la prima apparizione del termine “cyberspazio”, inventato proprio da Gibson. I protagonisti sono tre sognatori: i due hacker Bobby e Automatic Jack, che vogliono fare il colpo grosso, e Rikki, che desidera i costosi occhi artificiali delle dive e una carriera nel mondo dello spettacolo.