giovedì 23 settembre 2021
The Weird and the Eerie: Lo strano e l'inquietante nel mondo contemporaneo - Mark Fisher
The Weird and the Eerie è
una collezione di saggi e temi affrontati da Fisher tanto su k-punk che su
riviste accademiche, un’ampia declinazione del weird e dell’eerie attraverso letteratura,
musica e cinema: da H.P. Lovecraft a Philip K. Dick, dai The Fall a Brian Eno,
sino a David Lynch, Stanley Kubrick e Cristopher Nolan, passando per Margaret
Atwood, Daphne du Maurier, Alan Garner e tanti altri. Fisher delinea «lo strano e l’inquietante nel mondo
contemporaneo», in una raccolta che ha il sapore di una confessione
di ossessioni personali e che, eppure, ci punge sul vivo, rammentandoci della
nostra finitudine al cospetto dell’outside
(“esterno”).
L’esterno, appunto, è tale solo se conserva una relazione di prossimità con
l’interno, il familiare: è per questo che il weird e l’eerie, pur proiettandoci
verso una dimensione altra, mantengono ben saldo il legame col mondo umano,
risolvendosi nel confine tra mondi, nell’inquietudine che avvolge chi varca la
soglia. Il weird, infatti, è la
stranezza suscitata dalla “non-correttezza” di una giustapposizione, dalla
consapevolezza che qualcosa è fuori posto o che non dovrebbe esistere affatto.
Alla luce di ciò, può prodursi solo qualora il lato familiare della
giustapposizione resti intatto: è per questo che la Terra di Mezzo non produce weirdness di sorta, collocandosi in
un mondo altro nella sua interezza e, perciò, nell’orizzonte del fantasy. Al
contempo, la carica weird non può che esaurirsi quando si tenta di
ridimensionare l’estraneità, riconducendola entro i confini del mondo umano e
privandola, così, del suo carattere disturbante.
L’eerie si accende quando
l’ignoto ci instilla il dubbio che nasconda un qualche tipo di intenzionalità
non umana, configurandosi in un “fallimento di assenza” («qualcosa dove non dovrebbe esserci niente»)
o in un “fallimento di presenza” («niente dove dovrebbe esserci
qualcosa»), che ci spingono a domandarci, rispettivamente, se
esista un agente o di che natura sia l’agente all’opera.
È un senso di eeriness simile a quello suscitato dalla visione di rovine del passato, che ci sfidano con l’impossibilità strutturale di ricomporre le identità di chi le ha costruite.
sabato 4 settembre 2021
Romanzo con cocaina - M. Ageev (1934)
Questo libro ha un genesi di enigmi e domande senza risposta. Nel 1934 arriva nella redazione parigina di Tchisla, rivista curata da emigranti russi, un plico da Istanbul contenente un manoscritto firmato “M. Ageev”. Purtroppo il progetto editoriale ha vita breve, non si riesce a stampare l’intero romanzo, che verrà pubblicato solo in parte nel mese di giugno di quell’anno con il titolo di Diario con cocaina. Ageev, presentato come giovane scrittore, era descritto in termini lusinghieri: “talentuoso, audace, ha scritto un’autentica tragedia”. Nello stesso anno su una rivista analoga alla precedente chiamata Vstreci (Incontri) esce anche un suo racconto, “Un lurido popolo”. Finalmente due anni dopo (ma forse sono quattro, anche questo elemento è incerto) l’Unione degli scrittori russi a Parigi consegna ai posteri anche il finale di Diario con cocaina, pubblicandolo per intero e con il nome con cui lo conosciamo oggi: Romanzo con cocaina.
Da questo momento “M. Ageev” cade nell’oblio, da cui emergerà quasi cinquant'anni dopo: nel 1980 vengono pubblicate su giornali di Parigi e di Istanbul inserzioni per rintracciarlo, ma senza risultato. Il mistero sull’identità dello scrittore rimane tale, si fa ancora più intricato e vi si aggiungono quei classici elementi che - in taluni casi - portano storie “ordinarie” a diventare leggendarie, libri scomparsi a riapparire. Nei primi anni Ottanta, Lydia Chweitzer trova su una bancarella lungo il Senna a Parigi, una copia dell’edizione originale: decide di tradurlo in francese e di proporlo all’editore Pierre Belfond, il quale molti anni dopo, dichiarò che “era ben consapevole come quell’incubo fosse stato scritto da un genio”. Escono anche altre edizioni, tra cui nel 1984 quella italiana, o meglio quelle italiane: il libro fu al centro di una piccola disputa editoriale, tra la casa editrice romana e/o e la Mondadori: entrambe pubblicano Romanzo con cocaina, la prima nei tascabili e la seconda nella gloriosa Medusa. Come già detto, nonostante la curiosità e l’interesse suscitato, nessuno sa ancora bene chi sia M. Ageev, tanto che nel corso dei decenni si sono susseguite varie interpretazioni, tra cui una molto suggestiva che vorrebbe che dietro quel nome ci fosse Vladimir Nakobov, il quale però non sembrò mai gradire la cosa, tantomeno il libro stesso, da lui pubblicamente criticato.
Sarà che non sono Vladimir Nakobov e che da cittadino europeo non ho tutti gli elementi per comprendere quanto l’autore ha nascosto “tra le righe”, ma posso affermare che Romanzo con cocaina è un romanzo molto forte, di quelli che si leggono tutto d’un fiato in una tiepida domenica di inizio marzo. La cocaina è una delle protagoniste del libro e proprio come la sostanza stupefacente, dopo un periodo di euforia iniziale, il susseguirsi delle pagine porta ad una sorta di depressione, che raggiunge il culmine con l’arrivo della parola fine. Fine che, senza voler aggiungere altro per non rovinarvi un’eventuale lettura, pone termine ad una sequenza di tradimenti continui, sviluppatisi nel corso dell’intero romanzo. Ecco, più che la cocaina, è il tradimento l’elemento cardine su cui poggia l’idea narrativa sviluppata da M. Ageev, che sottolinea come una volta iniziata la discesa, sia molto difficile se non impossibile tornare sui propri passi. A differenza di Delitto e Castigo, a cui è stato spesso associato, in Romanzo con cocaina la redenzione non è possibile, una volta scesi nell’abisso non si può che sprofondare. Entrambi i libri sono sviluppati in due parti con esiti, che avrete ormai capito, ben diversi.
La storia è una sorta di romanzo di formazione al contrario, una lunga deformazione che ci narra le vicende di Vadim Maslennikov, giovane liceale che descrive in prima persona la propria autodistruzione, di come i sentimenti che lo vedono coinvolto siano via via sviliti, resi neri dagli eventi, dalla perdita della speranza, dell'illusione che amore ed amicizie possano lenire i nostri patemi. Siamo a Mosca nel 1915, alle soglie della rivoluzione, che tuttavia passa in secondo piano, quasi nascosta, come fosse del tutto irrilevante sugli esiti delle vite dei protagonisti. Una sorta di monito, che ci ricorda come, in qualità di individui, siamo i primi responsabili di ciò che diventiamo. Vadim non è un cattivo diavolo, eppure l’inferno lo afferra piano piano, pagina dopo pagina, azione dopo azione. Tenta di emanciparsi come può, ma tra il bene e il male è quest’ultimo a lasciare le tracce più profonde: tradisce chi gli sta vicino, non riesce ad amare chi gli giura amore, si disinteressa di chi l’ha cresciuto, nell’apatia più totale. La scala verso il fondo si fa sempre più rapida, fino a quando nella vita di Vadim non fa capolino la droga, quella cocaina evocata fin dal titolo e della quale non vi è traccia se non negli ultimi capitoli, quasi che il protagonista fosse ruzzolato tutto d’un colpo da quella scala, impreparato alla caduta arrivata per caso. L’impressione che si ha è questa, enfatizzata dal fatto che l’incontro con la sostanza psicotropa arrivi dal nulla a casa di amici: “Ma si, proviamola dai. Tanto non mi succederà nulla”. Vadim quasi si fa vanto del fatto che, di primo acchito, gli effetti tardino ad arrivare. Invece arriveranno, lo sappiamo tutti, con tutti gli orpelli che una droga si porta dietro: felicità indipendente da qualsiasi fatto estero prima, depressione totale poi, che spinge verso azioni degradanti, brutali e bestiali. Per estensione, questo meccanismo non sarebbe altro che una sorta di esasperazione di ciò che tutti gli uomini provano quando sono alle prese con i sentimenti più elevati: dall’esaltazione del momento, l’uomo sente il desiderio di ricadere in basso, di commettere azioni nefaste che possano compensare tale squilibrio.