The Weird and the Eerie è
una collezione di saggi e temi affrontati da Fisher tanto su k-punk che su
riviste accademiche, un’ampia declinazione del weird e dell’eerie attraverso letteratura,
musica e cinema: da H.P. Lovecraft a Philip K. Dick, dai The Fall a Brian Eno,
sino a David Lynch, Stanley Kubrick e Cristopher Nolan, passando per Margaret
Atwood, Daphne du Maurier, Alan Garner e tanti altri. Fisher delinea «lo strano e l’inquietante nel mondo
contemporaneo», in una raccolta che ha il sapore di una confessione
di ossessioni personali e che, eppure, ci punge sul vivo, rammentandoci della
nostra finitudine al cospetto dell’outside
(“esterno”).
L’esterno, appunto, è tale solo se conserva una relazione di prossimità con
l’interno, il familiare: è per questo che il weird e l’eerie, pur proiettandoci
verso una dimensione altra, mantengono ben saldo il legame col mondo umano,
risolvendosi nel confine tra mondi, nell’inquietudine che avvolge chi varca la
soglia. Il weird, infatti, è la
stranezza suscitata dalla “non-correttezza” di una giustapposizione, dalla
consapevolezza che qualcosa è fuori posto o che non dovrebbe esistere affatto.
Alla luce di ciò, può prodursi solo qualora il lato familiare della
giustapposizione resti intatto: è per questo che la Terra di Mezzo non produce weirdness di sorta, collocandosi in
un mondo altro nella sua interezza e, perciò, nell’orizzonte del fantasy. Al
contempo, la carica weird non può che esaurirsi quando si tenta di
ridimensionare l’estraneità, riconducendola entro i confini del mondo umano e
privandola, così, del suo carattere disturbante.
L’eerie si accende quando
l’ignoto ci instilla il dubbio che nasconda un qualche tipo di intenzionalità
non umana, configurandosi in un “fallimento di assenza” («qualcosa dove non dovrebbe esserci niente»)
o in un “fallimento di presenza” («niente dove dovrebbe esserci
qualcosa»), che ci spingono a domandarci, rispettivamente, se
esista un agente o di che natura sia l’agente all’opera.
È un senso di eeriness simile a quello suscitato dalla visione di rovine del passato, che ci sfidano con l’impossibilità strutturale di ricomporre le identità di chi le ha costruite.
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