domenica 30 maggio 2021

Suspiria - Luca Guadagnino (2018)

 

 

Sabba e danza. Sangue e sudore. Dolore e piacere. Bande armate e lezioni di ballo. Luca Guadagnino guarda a Suspiria di Dario Argento tuttavia con una operazione autoriale  preferisce decostruire il modello originale per costruire un film assai più vicino a Rainer Werner Fassbinder. E non per la presenza certo non casuale di Angela Winkler e Ingrid Caven, ma per la capacità di scavare fin nell’abisso dell’animo femminile.

Berlino, 1977. Sullo sfondo il terrorismo e la banda Baader Meinhof. La giovane americana Susie Bannion, una sempre più brava Dakota Johnson, arriva nella capitale tedesca per frequentare una famosa scuola di danza per sole ragazze. Il palazzo è cupo, l’atmosfera mortifera, le insegnanti pericolosamente severe, le presenze inquietanti, le compagne inspiegabilmente spaventate. Susie comincia a comprendere di trovarsi in una accademia fuori dal normale quando la maestra Madame Blanc, mirabilmente interpretata dalla musa di Guadagnino Tilda Swinton, le chiede di spingersi oltre i propri limiti piegando corpo e testa a performance sfiancanti.

Braccia che si avvitano, gambe tese oltre l’inverosimile, colli piegati fin quasi a spezzarsi sono l’obiettivo finale di un percorso doloroso per ampliare le possibilità del fisico.  Quasi un calvario, per alcune allieve letterale. Seguite con perversa dedizione da insegnanti che portano impresse nei volti i segni dell’accettazione del ruolo di custodi di un universo che si nasconde ben oltre le apparenze.

Guadagnino, per nulla impaurito dal confronto con il film di Argento, si muove liberamente costruendo un film estremamente personale, ennesimo tassello di un quadro di cui è ancora difficile intravedere la forma finale. Perché non c’è dubbio che l’autore stia perseguendo un’idea di cinema inconsueta e unica frutto di un lavoro costante sull’immagine, la musica, i colori, le inquadrature che è presto per dire dove lo porterà.

Un discorso in cui la donna è sempre al centro del racconto, che si tratti di una cantante pop o una signora della borghesia o una danzatrice incredibilmente dotata. Un puzzle ambizioso per arrivare a una definizione del femminino sempre ricca, non convenzionale, contemporanea. Guadagnino è un regista profondamente femminista, ammesso che la definizione abbia un senso. Con il coraggio di proclamarsi tale anche in Suspiria tratteggiando un ritratto di donna a tinte forti, apparentemente negativa, totalmente autodeterminata. Inserirlo all’interno di un film horror, genere tradizionalmente poco genero nei confronti del sesso femminile, è un atto quasi rivoluzionario.

Greta Leo




Sex work is work - Giulia Zollino

 

 

Il lavoro sessuale è un lavoro, e in quanto tale deve prevedere tutele e diritti per le persone che lo esercitano. Il dibattito attorno a questo vero e proprio tabù culturale è da sempre incentrato su polemiche paternaliste e moraleggianti, che non fanno altro che ostacolare la quotidianità di chi fa questo lavoro. Questo libro vuole essere un piccolo contributo in direzione della normalizzazione del lavoro sessuale e della lotta contro lo stigma che colpisce tutte le persone coinvolte nel sex work. È necessario ribaltare le narrazioni normalmente utilizzate dai media e superare i luoghi comuni per cambiare l’immaginario su questo mondo.


lunedì 24 maggio 2021

Chelsea Wolfe - Flatlands


 

Another Round - Thomas Vinterberg (2020)

 

Una teoria del filosofo norvegese Finn Skårderud sostiene che l’essere umano nasca con un deficit di 0,5% di alcol nel sangue. Cosa succederebbe dunque se si provasse a colmare tale mancanza, mantenendo poi costante il nuovo livello alcolemico? È questa la domanda a cui tenta di rispondere il regista danese Thomas Vinterberg (Il sospettoKursk) con il suo nuovo film Un altro giro.

Sviluppando questa premessa egli arriva così a costruire un film che è tanto un ode all’alcol quanto una riflessione sulla mezza età e sulla necessità di sentirsi liberi. Dotato di grande umorismo, ma anche di una forte componente drammatica,

La storia è quella di Martin (Mads Mikkelsen), annoiato professore di storia consapevole di vivere una vita ogni giorno più grigia e priva di stimoli. In seguito ad un crollo emotivo durante il compleanno di un suo storico amico, egli viene introdotto ad una particolare teoria. Secondo questa, mantenendo un livello costante di alcol nel sangue si può aumentare la creatività e ridurre la pressione dei propri problemi. Questi, insieme ai tre amici, anche loro insegnanti e con esistenze problematiche, decide di intraprendere tale esperimento. I primi risultati si rivelano per loro emozionanti e particolarmente positivi. Ben presto i loro eccessi presenteranno però anche l’altro lato della medaglia, con cui i quattro dovranno inevitabilmente fare i conti.


L’alcol diventa così il pretesto per parlare di personalità apparentemente giunte al capolinea. Grazie a quella che viene ritratta come una vera e propria bevanda magica, i quattro protagonisti riescono invece a riscoprire quel senso di libertà tanto tipico dei giovani che riempiono le prime immagini del film.

L’alcol sembra infatti qui servire ad ognuno dei personaggi per prendere coscienza dei propri limiti. Ma sfuggire a lungo da questi non è possibile, e ben presto arriva dunque il momento di fare i conti con la propria vita. È così che dopo tanto divertimento, con sequenze realmente memorabili, si entra in un terzo atto ben più introspettivo e cupo. Un cambio di registro che permette di esaltare il racconto di quattro amici e del loro desiderio di sentirsi nuovamente parte della vita. Poiché, oltre a trattare del ruolo e del peso dell’alcol nelle passate e presenti generazioni, il cuore narrativo non ruota che intorno ad una storia di esseri umani fragili e feriti dalla mezza età. Questi non aspirano ad altro se non ad una seconda possibilità.

giovedì 13 maggio 2021

Dead Man's Bones - Lose Your Soul


 

Danse Macabre - Camille Saint-Saëns (1874)

 

Nel Gennaio 1874 debutta per la prima volta la chanson “Danse Macabre – Danza Macabra” di Camille Saint-Saëns, visionario compositore francese. Musicista prodigio, era in grado di suonare già all’età di tre anni e le prime composizioni non tardarono ad arrivare. Forse dovuto alla sua esperienza nella guerra franco-prussiana, che su di lui lasciò un marchio indelebile, il musicista si dedicò alla composizione di un’opera drammatico-satirica che sapientemente rappresenta l’affascinante dimensione dell’oltretomba, seppur con un carattere ammiccante e sarcastico.

Il tema della “Danza Macabra” o “Danza della Morte” – soggetto molto diffuso nell’iconografia medievale – aveva già ispirato alcune musiche come “Totentanz” dell’amico Liszt, oltre che alcune trascrizioni letterarie – si pensi a “La maschera della morte rossa” di Edgar Allan Poe -. Lo si può trovare per fino in uno dei primi cortometraggi di Walt Disney, “Silly Simphonies – The skeleton Dance”. Tuttavia Camille trova ispirazione in un poemetto grottesco di Henri Cazalis, che a sua volta rappresenta una famosa ballata di Goethe, in cui la Morte si ritrova a suonare un violino scordato in un cimitero.

«Dodici cupi rintocchi risuonano dal campanile della chiesa. Svanito l’ultimo di essi, si odono strani rumori dall’attiguo cimitero, e la luce della luna investe una fantomatica figura: la Morte, che suona il violino, seduta su una pietra tombale.»

Si svolge a mezzanotte, secondo Henri Cazalis, la cupa danza infernale in cui la Morte richiama a sé tutti gli scheletri dalle tombe, che iniziano a ballare e a ridere di un segreto che sembra conosciuto solo ai defunti. Per quanto nel poema la suddetta danza possa sembrare terrificante e malinconica, nell’opera musicale invece assume caratteristiche bizzarre e divertenti, quasi a sdrammatizzare l’idea dello stato immobile della vita oltre la vita.


L’intera ‘Danza Macabra’ di Camille Saint-Saëns è in Sol minore. Nell’introduzione si possono udire fedelmente rappresentati i 12 rintocchi del campanile tramite il pizzicato della corda d’arpa. Questi, scanditi a ritmo ben preciso del tempo delle lancette, quasi preparano uno stato di suspense che viene ben presto rotto dall’entrata in scena del violino della Morte. Il violino, scordato come tradizione vuole, suona anche in tonalità diversa: segue gli accordi di Mi minore, mentre il brano è in Mi maggiore. Si può quasi pensare che il triste mietitore stia accordando al momento il suo strumento, ma contemporaneamente richiama a sé tutte le anime del cimitero: inizia così la ballata.

Segue un tema principale A, eseguito dal flauto, che richiama alla mente una vera e propria danza spettrale. I defunti si stanno ormai levando in successione cromatica di sei semitoni, dopo di che riappare il violino della Morte con il suo lamentoso suono. A seguito della melodia principale, si prosegue con un botta e risposta tra flauto e violino, dalle sequenze sempre più rapide, rafforzate infine dall’intera orchestra al seguito. L’accompagnamento di ottoni, clarinetti, fagotti, corni e trombe non fa che esaltare il tema, che via via cresce sempre più in maestosità.

 

La danza vera e propria è formata da contrabbassi e violoncelli – sempre in fortissimo – riproponendo il tema B frammezzato dagli ottoni, che risuonano come sorde e selvagge risa degli scheletri. Si susseguono poi diverse variazioni sul tema B, che diventa una fuga, per poi essere ripresa prima dal violino, poi dai legni, dai tromboni e in fine di nuovo dal violino, fino a sfumare in un pianissimo di chiusura. Ma come è accaduto più volte all’interno della composizione, ai momenti di calma seguono crescenti enfatizzati dalle trombe, sempre più forti e folli.


Geniale poi, l’utilizzo dei violini per imitare il suono delle folate di vento, in una crescente atmosfera d’ansia, creata anche tramite le ripetizioni degli stessi tre accordi degli archi. Così come ha avuto inizio poi, tutta la sinfonia si ferma bruscamente. Si sente solo l’oboe, che rappresenta il canto del gallo e la venuta dell’alba. La vitale danza notturna è costretta a vedere il proprio termine, mentre la Morte suona il tema conclusivo con il suo violino scordato. L’opera si conclude infine con il pizzicato d’arpa.

Nel vivace susseguirsi di melodie notturne, ogni strumento ha avuto il proprio ruolo. L’orchestra di spiriti, lo xilofono simile ad ossa di scheletro, il nobile violino della Morte. Musicalmente quest’opera è forse la rappresentazione più espressiva di bellezza e allo stesso tempo d’ironia della fatiscenza delle cose. Il ballo solitario e malinconico della Signora incappucciata, al cui suono nel poema tutti i risorti si fermano in silenzio per ascoltare, è forse il momento più emblematico. Ci sono forze più grandi di noi che ci accomunano come pari e uguali: la musica, ad esempio, uno tra i più grandi doni e misteri così della vita, come della morte.