Tre manifesti a Ebbing, Missouri è la miglior commedia nera da molti anni a questa parte. Ed è anche il miglior dramma. Com’è possibile? Chiedetelo a quello scatenato di Martin McDonagh (In Bruges, Sette psicopatici) che riesce a ipnotizzarci usando semplicemente quegli elementi che poi sono alla base del cinema: emozioni forti, personaggi complessi, sceneggiatura audace e cast da Oscar.
Se Frances McDormand non ne porta a casa un secondo, dopo quello conquistato nel 1997 per Fargo, l’Academy è da denuncia: è ora di fare una statua a questa donna. O almeno di darle un’altra statuetta, perché è assurdamente brava e non se l’è mai tirata: «Quando morirò, sulla mia tomba ci sarà scritto “Qui giace Marge” (il suo personaggio nel film dei Coen, ndr) e va bene così perché è un personaggio meraviglioso, ma posso dirvi che Mildred è una Marge cresciuta».
Mildred Hayes è la protagonista di Tre manifesti, una madre ferita e incavolata che decide di affiggere i cartelloni del titolo per richiamare l’autorità locale alle sue responsabilità: a sette mesi dallo stupro e dall’uccisione della figlia adolescente, infatti, non c’è traccia di un colpevole né di un sospettato. Nel film l’attrice è dolente ma incontenibile.
Nella piccola cittadina di Ebbing la legge porta il nome di Chief Bill Willoughby e del suo vice Jason Dixon, interpretati da altri due fuoriclasse: senza nulla togliere allo sceriffo di Woody Harrelson, autore di una serie di lettere che nel loro mix di comico e tragico riassumono alla perfezione lo spirito della pellicola, l’altro a meritarsi l’Oscar è Sam Rockwell, uno per cui McDonagh ha già scritto ruoli divertentissimi nei suoi film precedenti, ma che non ci ha mai regalato una performance tanto ricca di sfumature come questa. Non riuscirete a odiare il suo poliziotto cocco di mamma, violento e razzista, che però scongiura l’effetto caricatura: rude e spudorato sì, ma anche molto empatico.
I personaggi sono tutti straordinari perché lontani dai cliché, dal dualismo buoni e cattivi, unicamente e dolorosamente umani.
Questa è un’opera arrabbiata, non rabbiosa, un western contemporaneo politicamente ed eticamente scorrettissimo. Non a caso Frances fa camminare la sua protagonista come fosse John Wayne.