domenica 19 febbraio 2017

Freaks - Tod Browning (1932)





"Freaks", il film che costò al suo regista il bando da Hollywood, si è guadagnato l'appellativo di film maledetto per la mezz'ora intera che sarebbe stata tagliata per volere dei produttori della Metro-Goldwyn-Mayers. L'impatto che ebbe sul pubblico alle prime proiezioni fu devastante: malori, proteste, accuse di sfruttamento delle menomazioni umane per fare del becero sensazionalismo. In verità quello che Browning voleva era palesare la normalità dell'universo degli anormali. Non c'è nessuna stranezza nel vedere i legami di amore e amicizia che si intrecciano tra i protagonisti del circo di "Freaks". E tantomeno non vi è alcuna morbosità nel riprendere dei veri uomini e donne con le caratteristiche fisiche più diverse e varie.

Questo, chiaro, il pubblico, ma anche la critica del 1932 certo non poteva capirlo pienamente; e la genialità dell'opera di Browning, che già nella prima parte della sua folgorante carriera aveva dimostrato di avere a cuore di mettere in scena proprio il pregiudizio generalizzato del pubblico, sta proprio in questo: fotografare ciò che è la realtà, la paura del diverso, dell'inusualità e provocarne reazioni speculari proprio dopo averle filmate. 

E se da un punto di vista narrativo il film è molto lineare e poggiato su un canovaccio molto semplice (l'avidità umana che spinge all'umiliare il diverso, a sfruttarlo, pur di raggiungere l'agognato obiettivo), l'inversione dei ruoli nel finale ha qualcosa di sorprendente: il sadismo con cui i freak perpetrano la loro vendetta una volta scoperto l'inganno è il vero momento horror dell'opera di Tod Browning.

Convinto assertore dell'idea che la realtà non abbia bisogno di troppi filtri o traduzioni per essere messa in scena così com'è, Browning decide di non barare: nessun attore professionista a scimmiottare un qualsivoglia handicap. Bensì attori dilettanti che fanno se stessi: quelle che vediamo sono le loro vere menomazioni, quello che fanno nella vita del film è ciò che caratterizza le loro vere giornate. Ed è così che un film che si permette di mostrare forse troppo per gli usi dell'America anni 30 diventa una pellicola da catalogare nel genere horror.

 Al geniale regista questo grande equivoco non dispiacque affatto; fu al cast che creò dei problemi. La ragazza che interpretava la donna barbuta, ad esempio, rinnegò pubblicamente "Freaks" dopo le primissime proiezioni, atterrita più che spaventata dalle incredibili reazioni di orrore misto a disgusto che gli spettatori manifestavano. 

Per un quarantennio il film è stato distribuito nella sua versione ufficiale senza alcune inquadrature che indugiavano troppo sulle caratteristiche fisiche dei freak e soprattutto senza il finale tragico e violento della vendetta sui due traditori, con il montaggio che passava direttamente a mostrare la povera Cleopatra oggetto dello sguardo curioso del pubblico, dopo le menomazioni subite nella notte del diluvio.
L'urlo «È una di noi!» fa venire fuori tutto il senso dell'opera e risuona ancora oggi fino a giungere alle nostre orecchie.





domenica 12 febbraio 2017

Colter Wall - Chisholm Trail (Woody Guthrie)


Box-Car Bertha - Bertha Thompson


E' difficile capire quale sarà il capolinea di un treno merci: forse chi ci salta sopra, rischiando ogni volta la vita, non pensa mai a dove o a come andrà a finire. Prende un treno qualsiasi, perché ha perso tutti gli altri o anche perché, come nel caso di Bertha Thompson, meglio nota come Box-Car Bertha, semplicemente gli servirà per “imparare tutto sulla vita e in particolare tutto sui bassifondi”. La sua autobiografia di nomade radicale e ribelle, datata 1937, racconta “con assoluta veridicità tutta l’America, un’America lacerata e in rotta”: scioperi e arresti, hobo e bordelli, puttane e rivoluzionari, ladri e biscazzieri, hobo e semplici disperati costituiscono il paesaggio umano raccolto binario dopo binario e raccontato da Bertha Thompson. Sono passati solo pochi anni dal 1929 e il clamoroso crollo dell'economia americana (niente di nuovo sul fronte occidentale, nemmeno un secolo dopo) ha disintegrato per sempre sogni e illusioni: le ultime occasioni per sopravvivere sono sulla strada, lungo l'asse ferroviario (quasi fosse l’ultimo appiglio all’idea di nazione), nei quartieri malfamati e dietro l'angolo di ogni giorno ce n'è un altro più povero, più triste, più umiliante.


 Affiorano anche oasi di resistenza, dove il senso della comunità riaffiora nella solidarietà delle sisters of the road, le sorelle della strada, per cui non è solo importante viaggiare gratis (che per loro è proprio “una questione di principio”), ma anche organizzarsi ed eguagliare l’altro sesso nella pratica del tagliare i ponti e fuggire, spesso e volentieri saltando sul primo treno merci di passaggio. Il nomignolo Box-Car Bertha non è casuale, visto che si riferisce proprio ai vagoni che l’hanno ospitata nella sua personalissima odissea: per raccontarla, Bertha Thompson sceglie un linguaggio diretto, deciso, senza tanti fronzoli letterari e con l'urgenza di testimoniare un mondo sfuggente per la sua stessa natura. La sua ricchezza va cercata nello slang, nel valore di storie che altrimenti andrebbero perdute, storie che “si somigliavano tutte, niente lavoro, una famiglia disastrata, nessuna prospettiva di matrimonio, tanta voglia di divertirsi, di libertà sessuale, di vita, e la curiosità di sapere quello che altre donne stavano facendo”.


 Nelle crisi, che non sono mai soltanto economiche, c’è sempre qualcuno che paga più degli altri, le donne prima di tutti, e il valore aggiunto di Box-Car Bertha è nel suo cercare, tra le macerie, nel disordine della fuga, della fame e della disperazione, non soltanto una formula di sopravvivenza, ma anche un nuovo e risoluto modello di emancipazione. E' un libro che rende possibile un riscatto, tutto femminile, e quindi a maggior ragione Box-Car Bertha è unico perché Bertha Thompson si può sistemare con tranquillità tra i John Steinbeck, i James Agee, i Woody Guthrie, i Tom Kromer nella posizione scomoda, ma indispensabile, di chi ha scelto di raccontare le miserie americane, e il sogno quotidiano di una fermata che non sia l'ultima.