Mentre gran parte del mondo musicale si sta spostando verso derive più elettroniche e moderne c’è ancora qualcuno che crede nelle origini del proprio operato. I The Lumineers ne sono la prova concreta. Sono passati ormai quattro anni dall’esordio straripante della band di Denver che li ha portati a scalare e raggiungere le vette di tutte le classifiche del mondo; spesso, il secondo album, può essere o la conferma di un fenomeno musicale interessante e concreto, oppure il degenerare verso un flop disastroso.
Ebbene Cleopatra è nettamente la riprova che i giovani musicisti folk rock del Colorado ci sanno fare eccome. I The Lumineers hanno scelto di non rivoluzionarsi, sono musicisti folk, amano il far cantare gli altri, hanno fatto dell’essere semplici e genuini il loro cavallo di battaglia e, dopo i risultati incredibili del primo disco, hanno scelto la strada più semplice ma anche più rischiosa: seguire quelle musicalità che li hanno resi quello che sono.
Dopo un primo ascolto di Cleopatra il pensiero immediato è che il disco sia il naturale proseguimento di The Lumineers. Undici tracce brevi e perfettamente orecchiabili che l’ascoltatore può fare proprie in men che non si dica. Canzoni semplici, fatte di pochi accordi di chitarra, pianoforte, dell’immancabile grancassa e il battere di mani.
I testi narrano di vicende quotidiane, di piccoli drammi umani e voglia di rivincita. Si canta di lunghi viaggi, dell’abbandono di casa (Long From Way Home), di ferite già profonde e numerose (My Eyes e In The Light). Ci sono ritratti femminili (Angela) non dissimili per vocazione da quelli che ci saremmo attesi da un giovane De Gregori o Dylan. E poi l’amore: sognato e promesso (Ophelia), perduto e rincorso (Sleep on the floor). Tutto questo attraverso architetture musicali leggere ed essenziali che sussurrano all'ascoltatore le poche note che bastano a creare la magia.
Ben detto caro!!
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