venerdì 8 agosto 2014




Blaze Foley

I gotta guitar all my own
I gotta quarter for the telephone
I ain't headed down this highway all alone
One two three and maybe four
Honey, they're knockin' on my door
you know I'm gonna miss you when I'm gone

(Townes Van Zandt - Blaze's Blues)


"Una leggenda più che un songwriter", questo potrebbe essere l'incipit per descrivere la tragica vicenda umana e artistica del texano Blaze Foley, figura di culto nella Austin country degli anni settanta e ottanta. Un autentico outsider segnato da un destino infame, che lo ha visto soccombere da un colpo di pistola il primo di febbraio del 1989 all'età di trentanove anni, nel tentativo di difendere un vecchio compagno di sbronze. Poeta della strada, fuorilegge della country music, hobo per vocazione, alcolizzato cronico, viveva di piccole cose, non aveva bisogno di niente, gli bastava starsene tra gli alberi della sua casa foresta insieme alla compagna Sybil Rosen.

Nato a Marfa al confine col Messico, Foley negli anni ’60 cantava gospel in trio con la mamma e la sorella (la Fuller Family), il padre era un pazzoide ubriaco e la famiglia si frantumò e lui sparì, ricomparendo ad Atlanta, a suonare le canzoni di John Prine.
Negli anni ’70 iniziò a scrivere, difficile vederlo in giro, preferiva la compagnia dei demoni, come quelli del suo compagno Townes Van Zandt - con cui divideva stile musicale, poetica e malinconia.


Senza una fissa dimora, disinteressato alle cose materiali e con uno stile di vita del tutto sregolato,  Foley era una "contraddizione ambulante", per via dei suoi modi estremamente gentili e della sua grande generosità che si contrapponevano alla figura imponente e alle sembianze rudi.

Registrò un paio di dischi negli anni ottanta, andati perduti per una serie di sfortune inverosimili, meritevoli di un romanzo. Un lavoro ai Muscle Shoals nel 1983 sequestrato dalla DEA perché il propietario della baracca era implicato con la droga, un altro registrato con Gurf Morlix e i cui master vennero trafugati dalla station wagon dello stesso Foley.

L’amico Townes Van Zandt, gli dedicherà dopo la morte “Blaze's Blues”.
Così farà anche Lucinda Williams (con la canzone “Drunken Angel”) e molti colleghi ne rivaluteranno la figura attingendo al suo repertorio (Merle Haggard incidendo “If I Could Only Fly” e più recentemente John Prine, riprendendo “Clay Pingeons”).


I'd like to stay but I might have to go to start over again
Might go back down to Texas, might go to somewhere that I've never been
And get up in the mornin' and go out at night and I won't have to go home
Get used to bein' alone
Change the words to this song
Start singin' again

(Blaze Foley - Clay Pigeons)