domenica 23 febbraio 2014






1913 Massacre – Woody Guthire



La canzone 1913 massacre scritta da Woody Guthrie, descrive la strage di minatori e delle rispettive famiglie, durante la  vigilia di Natale del 1913 in Calumet, Michigan.
I figli degli emigranti che lavoravano in miniera si erano messi il vestito della festa. Le bambine avevano ornato i loro capelli con il nastro più bello. Quando si aprirono le porte della Società di Mutua Beneficenza Italiana, corsero tutti intorno all’albero che campeggiava al centro del grande salone. I loro padri erano tutti poveri minatori che si ammazzavano di fatica per una paga da fame nella miniera di rame di Calumet, un piccolo villaggio ai confini tra il Michigan e il Canada. Era gente che veniva da ogni parte del mondo: c’erano svedesi, norvegesi, finlandesi e tanta gente dall’est europeo. Ma erano gli italiani i più numerosi, erano talmente tanti da essere riusciti a costruire con tanta fatica e risparmio un edificio che potesse ospitare la loro società di solidarietà e beneficenza. Un edificio di legno dove poter ritrovare un po’ della loro amata Italia tra un caffè e una grappa capaci di riscaldare i loro cuori stretti dalla morsa del gelo che contraddistingue quella zona d’America dimenticata da Dio e dagli uomini, in cui l’inverno sembra non finire mai.
Si diceva che fossero anarchici e ribelli, tutto ciò che volevano, e per questo erano scesi in sciopero, era migliorare le loro condizioni di lavoro ed ottenere un salario più giusto. Lo sciopero fu durissimo, com’erano duri tutti gli scontri di classe di quegli anni. Era cominciato a luglio e andava avanti da quasi sei mesi. I minatori però, tenevano duro, non mollavano. La paga per quei minatori non arrivava nemmeno a un dollaro al giorno: un’autentica miseria che i padroni pagavano per un lavoro pesante, pericolosissimo e dai ritmi disumani. I minatori alla vigilia di quel Natale erano quasi ridotti alla fame. Sei mesi di sciopero, senza stipendio, avevano prosciugato i loro seppur minimi risparmi. Era una lotta durissima, faticosa che si stava per tramutare in un autentico dramma. Ma tutti, con una commovente solidarietà d’altri tempi, si erano stretti intorno ai lavoratori italiani. E forse anche per ringraziare tutta la popolazione che si era schierata dalla loro parte, i minatori italiani vollero organizzare una festa per festeggiare comunque l’arrivo del Natale. Una festa alla buona per gente semplice. I loro figli, come sempre, sarebbero comunque stati felici accontentandosi anche solo di vedere l’albero e ascoltare qualche dolce canzone di Natale. Faceva molto freddo e la cittadina si era ricoperta di neve la vigilia di Natale. E ne era venuta tanta di neve, come sempre d’altronde.
I bambini di ogni età raccolti nella sede della Società di Mutua Beneficenza erano davvero tanti. Giocavano a rincorrersi nella grande sala e ballavano scherzosamente con i loro genitori al suono di una piccola orchestra formata da una chitarra, un organetto, un mandolino e un’armonica a bocca. Si erano tuffati felici in quelle torte fatte in casa che le signore avevano portato per contribuire alla festa.
Fu proprio in quel momento che una squadraccia assoldata dai padroni delle miniere mise in atto quel piano tragico; così ben delineato da Guthrie che, nella sua canzone racconta: “…Gli scagnozzi del boss del rame ficcarono le loro teste nella porta e uno di loro urlò: “C’è un incendio!”. Una donna dall’altra parte gridò: “Non è vero non c’è niente del genere, continuate la festa…”. Fu tutto inutile. Presa dal panico l’orchestra smise di suonare e tutti afferrarono i loro figli per precipitarsi fuori, per mettersi in salvo. I bambini iniziarono a piangere e ad urlare terrorizzati. Quando i primi arrivarono alle porte del salone, le trovarono sbarrate dal di fuori. Fu proprio allora che nel salone cominciò a serpeggiare la paura più atroce e l’inferno si scatenò in un baleno. Inutili gli sforzi di chi, avendo capito cosa stava accadendo gridava a più non posso: “E’ solo uno scherzo! E’ solo uno stupido scherzo!”. Non ci fu nulla da fare. Guthrie riesce con poche parole a descrivere sia il tragico avvenimento sia gli infami protagonisti della storia quando canta: “…Quei criminali ridevano mentre tanti bambini venivano calpestati a morte sulle scale…”. Fu un massacro vero e proprio. Un’autentica strage. Quando finalmente la folla riuscì a buttar giù le porte e con il passare dei minuti il terrore cominciò a placarsi, una terribile angoscia scese sulle famiglie sudate e intirizzite. Non c’erano bambini con loro. Dov’erano i bambini? Cominciò a quel punto un appello interminabile destinato a rivelarsi inutile. I genitori risalirono affannosamente le scale urlando disperatamente i nomi dei loro figli. Quello che si trovarono davanti fu uno spettacolo agghiacciante: decine di bambini a terra morti per essere stati orribilmente calpestati dalla folla terrorizzata. Settantatre furono le vittime.


Queste le parole che il grande folksinger mise a chiusura del suo brano. “…Non mi è mai capitato di vedere una cosa così terribile. Portammo i nostri piccoli vicino al loro albero di Natale. I criminali fuori stavano ancora ridendo… Il villaggio era illuminato da una fredda luna di Natale… Madri e padri piangevano e con loro i minatori che tra le lacrime dicevano: “Guardate a cosa ha portato l’avidità dei padroni…”.



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