Basta spostarsi nella città più grande del Wisconsin, Milwaukee.
Per le strade, nei caffè, tre ragazzi scapestrati si divertono a giocare con le
mode del tempo, trasformandole in qualcosa di proprio, di unico. Una maniera
talmente conservatrice di rivedere le più antiche tradizioni musicali
americane, da risultare, alla fine, tremendamente rivoluzionaria e innovativa.
L’umiltà di suonare il country, il folk con strumenti volutamente
approssimativi diventa, così, la chiave per mettere un nuovo tassello sonoro
alla parola punk.
Tre ragazzi poco più che ventenni hanno la giusta dose di rabbia e frustrazione
per dare voce, con povertà acustica e devianza elettrica, ai disagi
post-adolescenziali della propria generazione.
Vecchie, nuove patologie di provincia trovano, così, il giusto, psicotico sfogo
sonoro in barba alle ragazzine innamorate di Le Bon.
Signore e signori, i Violent Femmes.
Milwaukee, Wisconsin. Nel 1980, Brian Ritchie e Victor DeLorenzo decidono
di formare un gruppo.
Ritchie, polistrumentista influenzato dal virtuosismo eclettico di Jaco Pastorius,
suona un basso dall’andamento vibrante, quasi
mariachi.
De Lorenzo - origini siciliane - si accontenta, invece, di giocare
con due semplici spazzole e un secchio.
Passa un anno e il duo diventa trio. Figlio di un predicatore battista, Gordon
Gano è poco più di un chitarrista dilettante con aspirazioni da
songwriter.
Innamorato della poesia decadente e nichilista di Lou Reed
e
dell’eccentricità bizzarra di Jonathan Richman, Gano muta rapidamente il perno
attorno al quale gira la band e diventa, di fatto, la mente e il cuore dei
neonati Violent Femmes.
Lo strambo nome (in molti sostengono proveniente da una marca di assorbenti)
viene preso da un’espressione
slang di Milwaukee, che indica i travestiti
che si prostituiscono per le strade. E non vi potrebbe essere nome più
azzeccato perché i tre ventenni suonano soprattutto negli angoli delle strade o
nelle
coffee-house della città. Come, d’altronde, la loro stessa
musica, che attinge dalla tradizione folk americana rigorosamente acustica,
volutamente artigianale, diretta e approssimativa.
Musicisti da strada per musica da strada. Fino al 23 agosto del 1981. Un giorno
solo apparentemente uguale a tutti gli altri.
I Violent Femmes stanno suonando in un angolo davanti all’Oriental Theatre
dove, di lì a poche ore, si esibiranno i Pretenders.
Il chitarrista della band inglese, James Honeyman-Scott, si trova per caso a
passare per quell’angolo e rimane folgorato dal talento spartano dei tre.
Chrissie Hynde invita, così, il gruppo ad aprire, con un breve set acustico, la
successiva data a New York. Ed è soltanto l’inizio della favola, perché, nella
Grande Mela, il pubblico reagisce entusiasta.
Passano alcune settimane e quelli che fino a pochissimo tempo prima erano
busker
insolenti e strampalati diventano una band vera e propria, con un contratto
discografico per una delle etichette più attive in campo new wave, la Slash
Records.
Nel luglio del 1982, i Violent Femmes si chiudono nei Castle Studios della
piccola città di Lake Geneva, Wisconsin, per registrare, insieme al produttore
Mark Van Hecke, il loro omonimo disco di debutto.
Dieci canzoni per poco più di quaranta minuti di musica che, tuttavia,
provocheranno uno scossone fortissimo nel panorama
underground
americano.
“
Violent Femmes” viene pubblicato alla fine di novembre e, con
gli anni, diventerà uno dei più acclamati album di debutto della storia del
rock.
Non raggiungerà mai una massiccia fama, ma potrà vantare uno strano record:
ricevere il disco di platino dieci anni dopo la sua uscita nei negozi.