Tutto ebbe inizio verso la fine degli anni Cinquanta, quando un neuro-psichiatra americano, tale John Lilly, convertì una vasca per lo studio dei sommozzatori in una sorta di incubatrice della mente umana. Stiamo parlando della così detta vasca di deprivazione sensoriale, ovvero una struttura sigillata, priva di illuminazione e riempita di acqua tiepida, all’interno della quale il medico conduceva i suoi soggetti che, trovandosi in uno stato di totale isolamento fisico ed emotivo, entravano in una profonda fase di rilassamento. In qualche caso dottore e paziente venivano a coincidere, perché Lilly diresse su di sé i propri esperimenti, prima affondando nella cisterna e partorendo allucinazioni (effetto collaterale degli studi), quindi assumendo regolarmente ketamina e sostanze analoghe (pare che abbia utilizzato tale farmaco per ventun giorni consecutivi, somministrandoselo in dosi di 50 mg ogni ora).
Gli studi dell’eccentrico dottore stimolarono l’immaginazione di uno scrittore, Paddy Chayefsky, che nel 1978 pubblicò, appunto, Stati di allucinazione, suo primo e ultimo romanzo. Un paio di anni dopo, la Columbia si interessò del progetto, chiamando lo stesso Chayefsky a sceneggiare il futuro film, e Arthur Penn a dirigere. I due litigarono presto, e Penn abbandonò l’impresa, esattamente come la casa produttrice che si tirò indietro, cedendo il tutto alla Warner. La scelta cadde su Ken Russell che, per quanto battibeccasse con Chayefsky, condusse in porto l’operazione. Il risultato è un film fantascientifico con venature horror e grottesche. William Hurt al suo film d’esordio ci fa comunque una bella figura, interpretando uno scienziato folle disposto a immolare se stesso e la propria incolumità sull’altare della scienza. Immerso a lungo nella vasca di deprivazione sensoriale, le droghe che gli scorrono per le vene, l’uomo arriva in un primo momento a modificare la propria conformazione genetica.
Pronto a sacrificare se stesso e quanto ha di più caro pur di sondare il mistero della vita, si ricrea e rinasce misurandosi in esistenze diverse, trascinandosi in un vorticoso incubo di autoannientamento: un buco nero cui conduce una scienza che ha smarrito la ragione e che somiglia sempre di più ad una intossicante assuefazione.
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