Goodbye South, Goodbye è la prima pellicola di Hou Hsiao-hsien che incarna compiutamente la poetica dell’indeterminatezza: dopo il bellissimo Good Men, Good Women, film che intreccia dolorosamente passato e presente, il regista si concentra sulla realtà contemporanea, seguendo le peregrinazioni di tre personaggi – Kao, Bian e Pretzel – lungo una Taiwan dilaniata dalle contraddizioni sociali e culturali. Il loro inconcludente e infruttuoso vagabondare traccia un ritratto devastante della contemporaneità: totale assenza di prospettive economiche, corruzione dilagante, sovrabbondanza di criminali di piccolo entità. Una grammatica della prevaricazione che non lascia alcuna via di scampo: l’euforia alcolica, la religiosità consolatoria e la ribellione individuale sono le sole risposte possibili - e ovviamente fallimentari – ad un’isola infestata da “squali di pozzanghera”, una realtà dominata dall’avidità più aggressiva e sfrenata. In questo senso, pur non essendo pellicola di impianto sociologico, Goodbye South, Goodbye offre un’immagine straordinariamente precisa della Taiwan degli anni ’90.
E lo fa con un linguaggio filmico di maestosa purezza: le lunghe inquadrature si susseguono con cadenzata eleganza, alternando composizioni di imperturbabile fissità, misuratissime panoramiche, insistiti camera car e addirittura riprese con la macchina a mano. Nella mezza dozzina di scene da mandare a memoria, impossibile non menzionare il suggestivo tragitto in moto lungo una strada immersa nella vegetazione e il pestaggio di Bian, filmato impassibilmente dall’interno di una stanza buia e magistralmente incorniciato dall’apertura della porta.
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