All’inizio era una donna da sola, di nome Troffea: appena
messo piede fuori dalla sua abitazione aveva iniziato a ballare sotto il sole
cocente di metà luglio. Un ballo irrefrenabile, continuo, durante il quale si
concedeva solo rare pause per bere o mangiare qualcosa; salvo poi ricominciare
e proseguire tutto il giorno e tutta la notte. Incurante della fatica, del
sudore che impregnava i vestiti e delle ferite sui piedi, la danza di questa
donna proseguiva giorno dopo giorno. Imitata dapprima da qualche sparuto
concittadino, il ballo non accennava a fermarsi e attraeva sempre più persone.
Prima qualche decina, poi un numero sempre maggiore: dopo oltre una settimana,
quando le autorità si decisero a intervenire, la danza stava ormai contagiando
centinaia di persone.
Siamo a Strasburgo, Francia, 1518. Tra lo stupore e lo
sdegno dei borghesi e delle autorità, “la follia della danza” (com'era chiamato
all'epoca l'episodio poi ribattezzato epidemia del
ballo) proseguiva ormai da settimane, senza che nessuno riuscisse a
capire che cosa stesse accadendo.
La colpa si credeva, fosse dovuta al troppo caldo che aveva
dato alla testa ai paesani. La soluzioni, quindi, non poteva che essere una:
farli sbollire. E quindi, farli danzare ancora di più; finché non avessero sfogato
la loro malattia. A questo scopo, vennero approntati dei palchi nelle piazze
centrali della città, dove centinaia di persone continuarono imperterrite a
ballare e a dimenarsi.
Nell'afa di luglio, centinaia di persone (all’apice si stima
che fossero coinvolti 400 uomini e donne) continuavano ad agitarsi senza pace,
senza dare segno di provare alcuna gioia; collassando al suolo e in alcuni casi
morendo.
Nel frattempo, i giorni passavano: luglio era diventato
agosto e settembre iniziava ad avvicinarsi. Le autorità capirono di aver fatto
un errore: non poteva trattarsi di un semplice problema medico causato dal
troppo caldo; doveva essere qualcosa di diverso: queste persone stavano subendo
l’ira del Signore. Venne decretato un periodo di penitenza obbligatoria, in cui
la musica e la danza furono vietate in qualunque situazione; mentre le persone
afflitte dall’epidemia vennero portate in un santuario dedicato a San Vito, nelle
colline che dominano la vicina città di Saverne.
Il rimedio funzionò: nel giro di qualche settimana, siamo
ormai a settembre, la maggior parte delle persone smise di danzare; l’epidemia
si era finalmente conclusa. Da allora, sono trascorsi esattamente 500 anni.
Eppure non è ancora stata data una risposta conclusiva alla domanda che tutti
si sono posti: che cos’è successo a Strasburgo?
Per qualche tempo,
l’ergotismo è sembrata la spiegazione. Una malattia che deriva dall’assunzione
di cibo contaminato da una muffa che cresce nella segale e che produce effetti
chimici assimilabili a quelli dell’LSD. Può indurre fortissime allucinazioni e
spasmi violenti. Ma è molto improbabile che chi ne venisse colpito potesse
essere in grado di ballare per giorni e giorni.
Un altro dato interessante è che gli studiosi
contemporanei sono concordi nell'affermare che le persone colte da
quest'"epidemia" non volevano veramente ballare, infatti nei
documenti dell'epoca ci sono interviste fatte ai sopravvissuti che imploravano
di riuscire a smettere di ballare. Tutto ciò ci porta alla più probabile
ipotesi che si tratti di isteria di massa iniziata da Frau Troffea, infatti nel
1518 i poveri di Strasburgo sperimentavano la fame, la malattia e la
disperazione sconosciuta da generazioni; quindi l'isteria e la fame sono state
un "cocktail" letale che hanno portato uno stato di trance nelle
persone fino alla morte.
Nei secoli precedenti ci sono stati altri casi; in
particolare uno nel 1374 che coinvolse molte città del moderno Belgio, Francia
nordorientale e Lussemburgo. La collocazione geografica di queste epidemie non
è sfuggita agli storici, che hanno notato come tutti gli episodi si siano
svolti più o meno in prossimità del Reno. In quest’area, vigeva una particolare
credenza: che San Vito (oggi santo patrono dei danzatori e degli epilettici)
punisse i peccatori costringendoli a danzare senza sosta.
Ed è forse proprio questa credenza ad aver causato il contagio
del ballo; la sola credenza (molto radicata) che San Vito avesse questo potere
potrebbe aver spinto le persone in uno stato di dissociazione cognitiva, in cui
si agisce secondo le norme culturali e religiose del tempo. In questo modo, si
spiega anche perché il ballo di una singola donna divenne un’epidemia e perché
a esserne colpiti furono solo le fasce più deboli della società; vittime
designate delle credenze popolari e religiose.
L’idea che la collera di San Vito stesse costringendo le
persone a ballare non poteva non fare presa su chi condivideva queste credenze;
inducendo in loro uno stato di trance che rendeva possibile ballare
praticamente senza sosta per giorni e giorni. Fu insomma il potere immenso
della suggestione e del credo religioso a scatenare la piaga del ballo; una
ricostruzione resa ancora più credibile se si considera la situazione
particolare in cui la città di Strasburgo si trovava nel 1518.
In un periodo già segnato da violenti conflitti religiosi e
sociali e da malattie terrificanti, si era aggiunta anche una carestia che
aveva portato il prezzo del grano alle stelle; provocando una grave ondata di
miseria. In queste condizioni, c’era terreno fertile affinché alcuni degli
abitanti della città iniziassero a ritenere che Dio stesse scatenando la sua
collera e di conseguenza ad autoconvincersi di essere stati puniti da San Vito;
iniziando così a ballare e contagiando i concittadini. Con lo scemare di
credenze tanto radicate, smisero di avvenire anche episodi di questo tipo: la
piaga del 1518 rimane l’ultimo raccontato nelle cronache del tempo.