Emmanuel Guibert
conobbe Alan Ingram Cope per
caso nel 1994, durante una vacanza sull’isola di Ré, nell’oceano atlantico, dove
l’anziano reduce si era ritirato in pensione. Ne nacque una profonda amicizia.
Entrati in confidenza, Alan piano piano raccontò la sua intera vita a Guibert
che la registrò (in alcuni casi nel vero senso della parola, con un
registratore, in altri attraverso schizzi ed appunti).
Dopo la morte di Alan, nel 1999, uscirono, tra il 2000
e il 2008, i tre volumi dedicati a La guerra di Alan.
Con “L’infanzia di Alan”, l’artista francese prosegue il racconto della vita di Alan, per la quale è previsto ancora un volume che racconterà l’adolescenza dell’amico.
L’albo si apre con una sequenza a colori che
mostra le ampie strade trafficate di Los Angeles, i grattacieli al limite
laterale dello sguardo, un monotono paesaggio urbano contemporaneo. Su queste
immagini di fredda attualità, anche se scaldate dalla luce avvolgente del
paesaggio americano, la voce fuori campo di Alan inizia a raccontare al lettore
del passato di quello stesso luogo, creando un effetto straniante. Con la
scomparsa del colore, sul bianco e nero abbagliante di una California d’altri
tempi, il paesaggio è quello dell’America degli anni Trenta dentro il quale ci
accompagnano testo e disegno, molto ben amalgamati.
Le tavole sono bellissime,
ognuna di esse, per composizione, grafica, contrasto, prospettiva e taglio
dell’immagine potrebbe ambire alla copertina. Si passa dai disegni ricchi di
particolari come quelli delle abitazioni e dei loro interni, alle figure umane
che si stagliano su sfondi spogli o sul foglio bianco per esaltarne i gesti o
gli atteggiamenti. Spesso molte parti del racconto di Alan sono difficilmente
rappresentabili perché non contengono alcuna sequenza narrativa, non c’è lo
sviluppo di una trama, ma il semplice ricordo o il commento della vita di quei
tempi; in questi casi l’autore riesce a raccontare nel e attraverso il disegno
qualcosa in più rispetto al testo, come a esempio lo stretto rapporto fra madre
e figlio, il legame particolare con un oggetto, la magia di un luogo. Testo e disegno si fondono alla perfezione,
ancor più di quanto lo erano nei tre volumi precedenti.
Il racconto di Alan non ha nulla di straordinario in
questa parte, mentre straordinaria era la situazione di guerra dei tomi
precedenti; si tratta della vita quotidiana di una comunissima famiglia
americana dell’anteguerra. I ricordi che riguardano i familiari, gli zii, i
cugini, i giochi, i traslochi, sono comuni a chiunque altro, ma calati
perfettamente nel contesto di un’epoca, resa egregiamente dal disegno e
raccontata con la voce straordinaria di Alan. L’americano possiede una capacità comunicativa formidabile, una
invidiabile bravura nella sintesi, nella frase ad effetto, nella sottile
e diretta ironia, nella forma semplice che mira all’essenziale.
Guibert è stato bravissimo nel selezionare
e cucire insieme le parti del materiale raccolto. Sfogliando il fumetto,
al lettore sembra di ascoltare dal vero la voce di questo bonario anziano che
immagina con l’aspetto di un John Wayne o di un Jean Gabin; non può
evitare di immaginare il timbro, il tono e la cadenza della voce
Questa è una di quelle rare occasioni in cui il ricordo sembra materializzarsi e rivivere
di fronte agli occhi del lettore, penetrando direttamente sino al suo
cuore per sfiorarlo con la delicatezza della poesia.
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