Il protagonista di Pulp,
Nick Belane, è un detective alle prese con un caso particolare. Non si capisce
cosa stia cercando, anche se lo fa con una certa determinazione, quando prende
la porta ed esce nelle strade di Los Angeles: “Fuori, avanzai con decisione tra
la nebbia. Avevo gli occhi tristi e le scarpe vecchie e nessuno mi voleva bene.
Ma avevo da fare”. Non c’è dubbio che lo sappia dove sta andando: la sua
missione è complicata e oscura e gli occupa tutte le giornate, ma non deve scoprire
né colpevoli né innocenti e il più delle volte si lascia trasportare dalle onde
di una malinconica impotenza che gli fa dire: “Niente da fare. Tutti restavano
fregati. Non c’era nessun vincitore. Solo vincitori apparenti. Stavamo tutti
dando la caccia a un grandissimo nulla”.
A dire il vero le sue ricerche sono
abbastanza sgangherate e intervallate da distrazioni ingombranti.
Il più delle volte si fa
cogliere fuori posto, attratto da dettagli tanto appariscenti quanto
irrilevanti per i suoi scopi. Solo che non sa resistere, e lo confessa senza
pudore: “In qualche modo mi persi, cominciai a guardarle su per le gambe. Mi
sono sempre piaciute, le gambe. E’ stata la prima cosa che ho visto quando sono
nato. Ma allora stavo cercando di uscire. Da quel momento in poi ho sempre
tentato di andare nell’altra direzione, ma con fortuna piuttosto scarsa”.
Il vero problema è il bersaglio
di cui si deve occupare: più ci pensa e più è vago, più lo cerca e più lo perde
e, come se non bastasse, “c’è sempre qualcuno in procinto di rovinarti la
giornata, se non l’esistenza”. Il suo nome è una sciarada nel cruciverba dei
boulevard di Los Angeles e tra un drink e l’altro diventa chiaro che Nick
Belane non raggiungerà mai l’incredibile scopo di trovare se stesso. Un caso a
parte nella storia di Charles Bukowski, Pulp è un romanzo affascinante e
non privo di una sua surreale ironia nell’immergere Raymond Chandler in un
bagno di whiskey, se basta a rendere l’idea.
Nessun commento:
Posta un commento