sabato 11 maggio 2013



Violent Femmes


Basta spostarsi nella città più grande del Wisconsin, Milwaukee.
Per le strade, nei caffè, tre ragazzi scapestrati si divertono a giocare con le mode del tempo, trasformandole in qualcosa di proprio, di unico. Una maniera talmente conservatrice di rivedere le più antiche tradizioni musicali americane, da risultare, alla fine, tremendamente rivoluzionaria e innovativa.
L’umiltà di suonare il country, il folk con strumenti volutamente approssimativi diventa, così, la chiave per mettere un nuovo tassello sonoro alla parola punk.
Tre ragazzi poco più che ventenni hanno la giusta dose di rabbia e frustrazione per dare voce, con povertà acustica e devianza elettrica, ai disagi post-adolescenziali della propria generazione.
Vecchie, nuove patologie di provincia trovano, così, il giusto, psicotico sfogo sonoro in barba alle ragazzine innamorate di Le Bon.
Signore e signori, i Violent Femmes.
Milwaukee, Wisconsin. Nel 1980, Brian Ritchie e Victor DeLorenzo decidono di formare un gruppo.
Ritchie, polistrumentista influenzato dal virtuosismo eclettico di Jaco Pastorius, suona un basso dall’andamento vibrante, quasi mariachi.
De Lorenzo - origini siciliane - si accontenta, invece, di giocare con due semplici spazzole e un secchio.
Passa un anno e il duo diventa trio. Figlio di un predicatore battista, Gordon Gano è poco più di un chitarrista dilettante con aspirazioni da songwriter. Innamorato della poesia decadente e nichilista di Lou Reed e dell’eccentricità bizzarra di Jonathan Richman, Gano muta rapidamente il perno attorno al quale gira la band e diventa, di fatto, la mente e il cuore dei neonati Violent Femmes.
Lo strambo nome (in molti sostengono proveniente da una marca di assorbenti) viene preso da un’espressione slang di Milwaukee, che indica i travestiti che si prostituiscono per le strade. E non vi potrebbe essere nome più azzeccato perché i tre ventenni suonano soprattutto negli angoli delle strade o nelle coffee-house della città. Come, d’altronde, la loro stessa musica, che attinge dalla tradizione folk americana rigorosamente acustica, volutamente artigianale, diretta e approssimativa.
Musicisti da strada per musica da strada. Fino al 23 agosto del 1981. Un giorno solo apparentemente uguale a tutti gli altri.
I Violent Femmes stanno suonando in un angolo davanti all’Oriental Theatre dove, di lì a poche ore, si esibiranno i Pretenders.
Il chitarrista della band inglese, James Honeyman-Scott, si trova per caso a passare per quell’angolo e rimane folgorato dal talento spartano dei tre. Chrissie Hynde invita, così, il gruppo ad aprire, con un breve set acustico, la successiva data a New York. Ed è soltanto l’inizio della favola, perché, nella Grande Mela, il pubblico reagisce entusiasta.
Passano alcune settimane e quelli che fino a pochissimo tempo prima erano busker insolenti e strampalati diventano una band vera e propria, con un contratto discografico per una delle etichette più attive in campo new wave, la Slash Records.
Nel luglio del 1982, i Violent Femmes si chiudono nei Castle Studios della piccola città di Lake Geneva, Wisconsin, per registrare, insieme al produttore Mark Van Hecke, il loro omonimo disco di debutto.
Dieci canzoni per poco più di quaranta minuti di musica che, tuttavia, provocheranno uno scossone fortissimo nel panorama underground americano.
Violent Femmes” viene pubblicato alla fine di novembre e, con gli anni, diventerà uno dei più acclamati album di debutto della storia del rock.
Non raggiungerà mai una massiccia fama, ma potrà vantare uno strano record: ricevere il disco di platino dieci anni dopo la sua uscita nei negozi.





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