domenica 10 gennaio 2021

The House is Black

 

Nell'autunno 1962 Forugh Farrokhzad realizzò, in soli dodici giorni, il documentario Khaneh siah ast (The House is Black) sulla vita all’interno del lebbrosario di Behkadeh Raji a Tabriz nel nord dell’Iran.

All’interno di un lebbrosario i malati più gravi, ormai privi degli arti la cui unica speranza è la preghiera, coesistono con quelli in cui la lebbra non ha ancora avviato la sua fase più feroce. La vita scorre tra giochi e piccoli gesti quotidiani, mentre la voce fuori campo di Ebrahim Golestan elenca le macabre caratteristiche della malattia e quella della regista recita versi poetici.

Il lebbrosario diventa microcosmo in cui guardare i lati oscuri di una società e il buio dell’esistenza umana. «Il mio film si apre con l’immagine di una donna che si guarda allo specchio. Questa donna simboleggia in realtà l’essere umano che osserva la sua vita allo specchio, qualsiasi sia questo specchio»

L’unica vera opera cinematografica dell’allora ventottenne Forugh Farrokhzad “è una sconvolgente discesa nell’abisso della malattia; il documentario non è un semplice atto di denuncia e di sensibilizzazione, ma anche una forma di resistenza al male e il tentativo, pienamente riuscito, di cercare la bellezza e la speranza anche dove si crederebbero impossibili” (Mereghetti)

Questo piccolo capolavoro fu possibile poiché la regista entrò in completa sintonia con il luogo e con le persone, mostrando la bellezza e l’umanità in un posto orribile. Ancora oggi commuove e sorprende l’abilissima contrapposizione di immagini attraverso il montaggio di piccole sequenze, l’uso di luce, ombra, inquadrature, ritmo e suoni.

La critica iraniana accusò la Farrokhzad di usare i malati e di creare “scene orribili”e “sgradevoli” utilizzate come metafora dell’Iran sotto lo shah Pahlavi, ma nonostante questo il film vinse nel 1963 il premio alla regia all’Internationale Kurzfilmtage Oberhausen (Festival internazionale del cortometraggio di Oberhausen). The House is Black cambiò anche la vita della poetessa. Durante le riprese, infatti, si affezionò moltissimo a Hossein Mansouri, un bimbo figlio di due lebbrosi presente nel film, lo adottò e lo porto con se a Teheran.

Il 13 febbraio del 1967 alle 16.30, Forugh Farrokhzad morì in un incidente automobilistico a Teheran, aveva solo 33 anni.

 

Saluterò di nuovo il sole

Saluterò di nuovo il sole,
e il torrente che mi scorreva in petto,
e saluterò le nuvole dei miei lunghi pensieri
e la crescita dolorosa dei pioppi in giardino
che con me hanno percorso le secche stagioni.

Saluterò gli stormi di corvi
che a sera mi portavano in offerta
l’odore dei campi notturni.

Saluterò mia madre, che viveva in uno specchio
e aveva il volto della mia vecchiaia.
E saluterò la terra, il suo desiderio ardente
di ripetermi e riempire di semi verdi
il suo ventre infiammato,
sì, la saluterò
la saluterò di nuovo.

Arrivo, arrivo, arrivo,
con i miei capelli, l’odore che è sotto la terra,
e i miei occhi, l’esperienza densa del buio.
Con gli arbusti che ho strappato ai boschi dietro il muro.

Arrivo, arrivo, arrivo,
e la soglia trabocca d’amore
ed io ad attendere quelli che amano
e la ragazza che è ancora lì,
nella soglia traboccante d’amore, io
la saluterò di nuovo.

 

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