lunedì 25 gennaio 2021

Bunny Lake Is Missing (1965)




 

Otto Preminger fu uno dei numerosi brillanti registi austriaci finiti alla corte di Hollywood negli anni ’30, e all’epoca di questo film era già affermato e conosciuto per la scabrosità dei temi affrontati; la dipendenza dalla droga in L’uomo dal braccio d’oro (1956) con un Frank Sinatra davvero sorprendente, lo stupro nel suo più celebre Anatomia di un omicidio (1959). Preminger aveva una sua casa di produzione già avviata, la Wheel Productions, e si appoggiò al colosso Columbia per mettere in scena il romanzo di Marryam Modell, facendolo però ampiamente revisionare dagli sceneggiatori John e Penelope Mortimer.

E’ la storia della inspiegabile scomparsa di una bambina, Bunny Lake, al suo primo giorno di asilo appena trasferita con la giovane madre a Londra. Il film verte su questa pesante assenza, vissuta attraverso l’angoscia crescente della madre e le indagini della polizia. Lo spettatore rimane efficacemente avvolto in questa strana cospirazione che tende a rimuovere ogni prova della esistenza stessa della bambina, chiamando in causa il disagio psichico. 

Una storia dove ogni dettaglio viene servito puntualmente, tassello dopo tassello in un crescendo di mistero.

La fotografia diretta da Denys Coop presenta un bianco e nero raffinato dagli alti contrasti, in linea con i titoli di testa minimali firmati dall’eccentrico designer Saul Bass. Gli ambienti in cui si svolge la storia sono luoghi vagamente sinistri, come l’austera “Little People’ s House”, lo stesso appartamento di miss Lake dove sono appese alle pareti arcane e minacciose maschere tribali, la stravagante abitazione del vizioso Wilson o il grottesco negozio di bambole che ricorda più una piccola bottega degli orrori. Il senso di inquietudine e mistero si intreccia con le musiche di Paul Glass: classici fraseggi percussivi accompagnano le indagini poliziesche, alternandosi a idilli orchestrali deliziosamente ‘fuori luogo’. Altro effetto dissonante sortisce la breve apparizione televisiva del gruppo rock The Zombies con Remember you, la intrusione di un selvaggio riff roaring sixties in un cinema ancora figlio delle sale da ballo. 

Un film atipico di orrore psicologico, dove a un ricco serraglio di freaks si aggiungono location come l’ospedale delle bambole e i suoi cento occhi di celluloide sbarrati. Otto Preminger non lascia nulla al caso, e dissemina il percorso di tremende briciole di pane.  Tutto si dimenano all’ombra di un ricordo: quello dei loro giochi d’infanzia, quello degli amici immaginari e di quanto è rimasto sepolto nella loro psiche. Si trattiene il fiato ogni volta che la soluzione si avvicina, si sospira per ogni buco nell’acqua.

 

 

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