mercoledì 21 marzo 2018

1922




Stephen King sta recentemente vivendo la stupefacente fortuna di critica e pubblico grazie a un vero e proprio revival audiovisivo (22.11.63, Under the Dome, Mr. Mercedes, it, la torre nera). Ed è proprio all’interno di tutto cioè che si colloca 1922, una torbida fiaba rurale nella quale non è tuttavia difficile ravvisare l’influenza atmosferica degli inquietati immaginari che da E.A. Poe conducono dritti a Ambrose Bierce e William Faulkner.


 Fedelissimo adattamento di un racconto lungo contenuto nell’antologia Notte buia, niente stelle e diretto con mano saldissima e ispirata da Zak Hilditch, 1922 narra l’oscura vicenda di Wilfred James (Thomas Jane), tipico agricoltore americano impegnato nel disperato tentativo di convincere la moglie Ariette (Molly Parker) a non vendere la fattoria e l’ampio appezzamento di terra ereditati dal padre per trasferirsi in città a vivere una monotona esistenza. Fallito ogni tentativo di mediazione e con lo spettro del divorzio che incombe minaccioso, Wilfred, con la complicità del figlio Henry, architetta l’uccisione della donna e il conseguente occultamento di cadavere nel pozzo situato nel giardino della magione.

Da quando, però, il terribile atto viene compiuto, la vita intera dell’uomo sembra precipitare in un incubo senza fine, tra l’improvvisa fuga del primogenito assieme alla giovane puerpera Shannon e la comparsa di una miriade di ratti che infestano ogni anfratto dell’abitazione, mentre la presenza fantasmatica della moglie sembra tutt’altro che un lontano ricordo. Cavalcando appieno l’onda lunga del buon successo ottenuto dall’attesa trasposizione di Il gioco di Gerald, 1922 si delinea come un’opera intensa e ipnotica dalla natura fortemente ibrida, unendo le coordinate di uno straniante thriller psicologico alla struttura di un horror, impiegando la figura diabolica – e a tratti quasi sovrannaturale – degli onnipresenti ratti quale metafora di un senso di colpa che striscia, rosicchia e s’infiltra malevolo in ogni anfratto della mente distorta del protagonista, richiamando inoltre suggestioni che occhieggiano a Il gatto nero di Poe e all’immancabile La casa della strega di lovecraftiana memoria.

Impiegando una messa in scena esteticamente impeccabile e visivamente suggestiva – grazie a fluidi movimenti di macchina e a un ottimo montaggio dai ritmi alquanto rarefatti –, Hilditch apparecchia un universo incubotico nel quale persino l’immagine apparentemente insignificante di un pozzo acquisisce una forza narrativa inimmaginabile, divenendo luogo maledetto deputato alla volontà di celare un terribile segreto di sangue destinato a perpetrare la propria terribile maledizione attraverso la suggestiva allegoria dell’infestazione.  Salutato con preventive manifestazioni di entusiasmo già nella fase di produzione dallo stesso King, 1922 appare a tutti gli effetti come uno degli omaggi filmici più onesti e sicuramente più riusciti al lavoro del re del brivido, un piccolo gioiello di elegante inquietudine destinato a far passare qualche sana notte insonne anche allo spettatore più coraggioso.


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