lunedì 21 ottobre 2013



Dock Boggs


Il signore in questione è tra i capostipiti del country-blues-hillbilly bianco degli Appalachi, un mito del prewar folk.
Siamo negli anni '20 e l'America è un paese in crisi e in forte depressione economica, specie il Sud, una zona ancora tendenzialmente rurale, dai forti contrasti razziali e dalle numerose miniere di carbone.
Non solo contrasti tra i bianchi e gli afroamericani, ma molti anche i punti di contatto e le similitudini nella vita, come nella musica, dove molti bianchi del Sud si trovarono a vivere nelle stesse condizioni di vita dei neri afroamericani e a riprendere il blues acustico del Mississippi per rivisitarlo in chiave country.
Dock Boggs era uno di questi. Misconosciuto cantante e banjoista, originario del Virginia, dove nacque nel 1898, ebbe una vita a dir poco travagliata che lo vide dapprima minatore all'età di dodici anni, poi contrabbandiere di whisky, musicista fallito e poi ancora minatore sindacalista.
La sua carriera è convenzionalmente divisibile in due tronconi: quello degli anni '20, in cui tentò in tutti i modi di sbarcare il lunario con la musica, incidendo per varie etichette, ma senza grandissimo successo e quello degli anni '60, dove grazie l'interesse di Mike Seeger, fratello di Pete, fu oggetto di una vera e propria riscoperta con tanto di incisioni per la Smithsonian/Folkaways, storica etichetta di musica tradizionale americana.


Dicevamo della prima fase della sua vita che lo vide più che altro impegnato a sopravvivere tra sparatorie varie, ubriacature moleste e soggiorni nelle patrie galere. La passione per il banjo era la sua unica valvola di sfogo, la via per raccontare  le storie di violenza, alcool e povertà con cui si scontrava quotidianamente. Ovviamente il banjo, che peraltro suonava con maestria e con una tecnica originalissima, non dava però da mangiare. Quindi dopo qualche registrazione nei tardi anni '20, smise di incidere "preferendo" le miniere e le lotte sindacali.
Poi, fino al 1963 il silenzio.
Solo dopo l'interesse di Pete Seeger (e grazie all'ondata di folk-revival che colpì gli States nei '60) che lo volle proprio in quell'anno all'American Folk Festival di Asheville, riprende il banjo in mano e ritorna a tracciare melodie rurali, secche e scheletriche, ossessivamente dissonanti. La sua voce claudicante è resa più afona e cruda dagli anni e dalle sofferenze che la vita gli ha riservato, tuttavia il suono del suo banjo arriva alle orecchie e al cuore. 


Dock Boggs capì che la bellezza intrinseca, la poesia e la semplicità delle ballate, importate o native, con o senza accompagnamento strumentale, potevano essere non solo preservate intatte ma perfino accentuate se sposate alla forza evocativa ruvida, essenziale ed immediata del blues delle origini.
Le 'blues-ballads' di Boggs rivelano due precisi punti di partenza: il repertorio raccolto dal canto occasionale della madre e delle sorelle e l'amicizia stretta col vicinato di colore, soprattutto con due chitarristi, tali Go Lightening e Jim White.
 La sintesi di ambedue queste espressioni musicali, il collage di frammenti di brani tradizionali bianchi e l'uso di accordature modali particolarissime, attraverso le quali il banjo sembra imitare la chitarra blues, hanno dato origine a Down South Blues, a Sugar Baby, a Pretty Polly, al capolavoro di Country Blues (il tradizionale Hustlin' Gambler avvolto in un sudario blues), vero e proprio manifesto sonoro di uno stile. 


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