martedì 9 aprile 2013



Frank Fairfield


La sensazione è quella di compiere un balzo indietro nel tempo tornando all'America rurale dell'inizio del secolo scorso, quando la musica era parte integrante della vita quotidiana e della cultura delle persone comuni. Con i suoi vent'anni ed un repertorio fatto di folk, bluegrass ed old-time music, Frank Fairfield sembra un personaggio sfuggito ad un racconto di William Faulkner o ad una pellicola dei fratelli Coen.
Nato in California nella San Joaquin Valley, fin dall'adolescenza il giovane artista intraprende una vita randagia frequentando saltuariamente il college e accettando lavori umili per sbarcare il lunario, almeno fino al momento in cui non si ritrova ad Oakland in completa miseria ed è costretto a riparare a Los Angeles, dove può contare sul supporto della famiglia.
 E' nella città degli Angeli che Frank matura la decisione di seguire le orme del nonno, errabondo musicista e raccoglitore di frutta, e torna sull'asfalto portandosi dietro una chitarra, un violino, un banjo ed un antico grammofono con una collezione di rari 78 giri, per mettere in scena un numero che Robin Pecknold dei Fleet Foxes definisce "...suona proprio come Mississippi John Hurt...nato nell'epoca sbagliata...e con una voce meravigliosa...", ed è tra i saltimbanchi e le chiromanti che affollano i marciapiedi di Hollywood, che Fairfield viene notato e inserito in piccoli eventi locali fino a fare da supporter a importanti band. Josh Rosenthal, responsabile di un etichetta di New York molto attenta alla tradizione, mette sotto contratto il giovane talento per un esordio omonimo, che suscita tanto entusiasmo da scomodare perfino il musicologo Greil Marcus, che scrive di lui "...un giovane californiano che canta e suona come qualcuno sgusciato dalle montagne della Virginia portando con sè canzoni familiari che nelle sue mani paiono dimenticate: versi spezzati, un ronzio dissonante, il violino o il banjo suonati in maniera percussiva, ogni momento in crescendo più alto di quello precedente...". Oggi Fairfield non è una star, ma di sicuro uno dei nomi da tenere in conto quando si parla di musica trazionale americana, dato che il nuovo lavoro di studio Out on the Open West non si limita a rileggere vecchi traditionals, ma allinea una manciata di composizioni autografe, che dei traditionals mantengono tutta la sacralità ed il rigore. Quella di Frank Fairfield è una musica fuori dal tempo, arcaica, cruda e rurale, con melodie semplici e prive di qualsiasi virtuosismo, ma estremamente toccanti ed autentiche, intonate da una voce che suona polverosa ed antica come i versi che interpreta. Out on the Open West è un lavoro di grande intensità e spessore culturale, dove i suoni sono ridotti all'osso, le armonie delineate da un paio di strumenti al massimo e cantate da una voce che sembra provenire da un cilindro di ceralacca.
Registrato in mono, Out on the Open West è il canto di un'America estinta che gira a 78 giri e che sopravvive forse solo nelle strofe e nelle incerte melodie di queste meravigliose canzoni. 

 (Tratto dalla rivista Buscadero)




1 commento:

  1. "nato nell'epoca sbagliata...e con una voce meravigliosa..."
    ne conosco un altro!!!

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