venerdì 2 dicembre 2016

James McMurtry - Complicated Game







"Dolcezza, non urlarmi addosso mentre pulisco la mia pistola". Trovatemi qualcuno, nell'anno di grazia 2016, che aprirebbe un disco con questi versi, specialmente se si sta parlando di relazioni, sentimenti, in un quadretto familiare di semplicità quotidiana. James McMurtry non è però uno qualunque e soprattutto non è politicamente corretto, sia quando scrive una delle protest song più belle e spietate degli ultimi trent'anni (We Can't Make It Here), sia quando decide di affrontare il "gioco complicato" della vita americana, con uno sguardo ricco di dignità sulle persone. Potrebbe sembrare l'incipit di una muder ballad, il verso di cui sopra, invece è l'attacco di Copper Canteen, prima di dodici "short stories" in musica che ribadisce la centralità del cantautore texano fra quegli autori che hanno traghettato certa tradizione letteraria "dei margini" dalle pagine scritte ai solchi di un disco. 


Come un Carver perso nelle distese del South West o un Jim Harrison altrettanto spietato, ma con una chitarra a tracolla, giureremmo (quasi) che il figlio del premio Pulitzer Larry McMurtry abbia superato il padre in fatto di narrazione. Soltanto che il buon James ha preferito i quattri-cinque minuti e i tre accordi in croce delle sue canzoni rispetto al ritmo della parola scritta. A sei anni da Just Us Kids, più sfrontato ed elettrico, Complicated Game interrompe la proverbiale pigrizia artistica (ma è solo necessità di dire le cose quando davvero vale la pena dirle) di McMurtry mettendo sul piatto l'album più introverso e soprattutto di impianto acustico della sua carriera. Non inganni infatti il talkin' serrato e dylaniano, anche con qualche pulsione elettronica fra le righe allucinate del testo, del primo singolo estratto, How'm I Gonna Find You Now. Si tratta per lo più di un'eccezione, dentro una scenografia asciutta e decisamente folkie (il banjo di Ain't Got A Place sulle tracce di Woody Guthrie, la rustica melodia country di Deaver's Crossing che tende a privilegiare, grazie anche alla produzione spartana di CC Adcock e Mike Napolitano, l'intensità delle parole, lo scorrere delle vite dei personaggi. 



Siano essi il pescatore di Carlisle's Haul, il citato cacciatore di Copper Canteen, lo smarrito veterano di guerra in South Dakota o le molte vicende di relazioni umane e di coppia (una classica You Got to Me, la tenera danza di She Loves Me e i suoi imprevisti cori in odore di doo-woop, o ancora la secca Cutter) che segnano la scaletta, le loro storie prendono corpo attraverso dettagli che soltanto un grande narratore sarebbe in grado di scovare. 

Poi c'è la musica certo, e non è affatto un dettaglio, sia chiaro, ma questa volta più di altre l'immobilismo di McMurtry è quasi un pregio: il suo ostinato attaccamento a certe progressioni di accordi, in fondo anche il registro limitato della sua interpretazione, sono tutti funzionali al racconto che ci vuole mostrare. Sublimato nel finale con l'intensa melodia dai colori irish di Long Island Sound - tra gli episodi più vivaci dell'album insieme al sapore southern indolente di Forgotten Coast - Complicated Game è un fiume di caratteri, che si intrecciamo nel denso manuale di resistenza umana approntato da McMurtry.



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