domenica 3 aprile 2016

Gianmaria Testa - Altre Latitudini






Gianmaria Testa non è un autore di grido, le sue canzoni non fanno clamore e i suoi dischi escono sotto voce. Anche se sono più attesi in Francia che in Italia, anche se sono pubblicati persino negli Stati Uniti. Ora che gode di una stima internazionale e che può permettersi un’introduzione scritta appositamente da Erri De Luca, lui continua a percorrere le vie più sottili della canzone.
Questo disco avrebbe potuto essere promosso sbandierando la collaborazione con il meglio della scena jazz italiana, e invece tutto si è mosso discretamente, con quell’eleganza minima, sobria, che è tipica delle canzoni di Testa.
Quindici brani, brevi, che passano al setaccio la tradizione italiana, il jazz, la chanson, lo swing, dando il giusto spazio ad ognuno. Quella di Testa è un’arte appena accennata: poche parole, semplici, per un’immagine, una storia. E arrangiamenti dosati, per la punteggiatura necessaria all’espressione.
Tra gli altri, Enrico Rava, Rita Marcotulli, Enzo Pietropaoli intervengono in punta di piedi. Come è nello stile loro e di questo autore, a cui bisogna riconoscere anche la bravura nella scelta dell’ambiente e delle comparse. Non inganni la vicinanza con il mondo del jazz, perché la musica di Testa non è da signorotti d’elitè, non fa distinzioni di classe: è cantautorale. Lui è un uomo col soprabito, che custodisce le canzoni, le coltiva, le protegge.
 

In fondo “Altre latitudini”svolge e riavvolge la stessa pellicola, che il cantautorato italiano sta proiettando da sempre, ma Testa ha una finezza e una purezza solo sue. Percorre una strada su cui sono passati in tanti, da Conte, a Fossati, a De Andrè. Eppure il suo è il cammino di chi esce per una passeggiata dopo che ha spiovuto: il sapore che sale dall’asfalto, dalla terra, ha una grazia fresca, nuova.
Questa sensibilità giustifica il titolo: “Altre latitudini”. Piccole storie, sussurrate con cautela, da un punto di vista di cui ci si accorge raramente nell’arco dei giorni.
Fondamentali sono il contrabbasso e la grancassa nel costruire un’atmosfera che chiede attenzione e su cui ogni strumento è libero di ricamare: una tromba, un clarinetto, un pianoforte, ma anche gli archi, una fisarmonica, addirittura un pad synth, tutto molto mediterraneo.
“Altre latitudini” ha il dono delle piccole cose, che una volta notate, non possono più essere trascurate.
Alla fine ha ragione De Luca: le canzoni di Testa sono come fiori da portare all’amata. Se si guarda al tempo, appassiscono in fretta. Ma nella memoria e nel cuore rimangono a lungo.



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