martedì 1 novembre 2016

Graciela Iturbide





Graciela Iturbide inizia a lavorare a 26 anni, come assistente di Manuel Alvarez Bravo nella natia Città del Messico. Dalla sua prima esposizione personale dedicata al popolo Zapotec, e in particolar modo alle sue donne, una serie di mostre, dal MOMA di San Francisco al Museo Andersen di Roma per il primo Festival FotoGrafia, la consacrano narratrice visiva per eccellenza dell’identità culturale del popolo messicano.


Ha avuto un modello in fotografia?
Io ho sempre cercato di avere un mio proprio linguaggio. Devi avere molte influenze nella vita, però – devi sapere – queste devono passare per un setaccio, e dev’essere sempre il medesimo, se no l’opera di uno non vale.Chissà? Ho imparato ad amare il mio paese per merito di Alvarez Bravo, perchè con lui ho viaggiato molto nelle zone indigene, grazie all’amore che ha per il mio paese, per molti luoghi che conosceva. Però sempre ho cercato di conservare il mio proprio linguaggio


Le immagini nelle zone indigene sembrano avere come riferimento quelle di Tina Modotti…
Anche se conoscevo il lavoro di Tina Modotti, dal momento che lavoravo con Alvarez Bravo, perchè lui era stato molto amico di Tina Modotti. Mi capitò anche nel laboratorio di alvarez Bravo di stampare le immagini di Tina: conobbi il suo lavoro nel 69, e potei vederlo nel laboratorio.M’incantava; è una fotografa che mi è piaciuta molto. Sono stata in luoghi, come Juchitan, dove Tina Modotti era stata e… Juchitan è un villagio nello stato di Teuantepec (è un popolo mitico), dove studiarono Weston, Tina Modotti, il pittore messicano Diego Ribera, Frida Kahlo.
Ma io fui lì perchè mi invitò Francisco Toledo, un pittore messicano indigeno. E mi trovai a lavorare a Juchitan con le stesse donne, negli stessi luoghi. Noi fotografi però dobbiamo stare attenti a non fare le stesse cose degli altri fotografi. Dobbiamo apprezzare il loro lavoro, ma cercare di avere il nostro cammino personale.Comunque ho avuto molte influenze nella mia vita, o meglio, molti fotografi che mi hanno affascinato, come Alvarez Bravo, Tina Modotti, Robert Frank, Giacomelli.


Cos’è il senso del tempo messicano?
Ora è cambiato un po’ per la globalizzazione, ma se tu vai nelle zone indigene, è come se tu avessi tempo per tutto. Hai tempo per il paesaggio, per le leggende, per ogni luogo. E quando vai nella zona indigena, ci sono sempre leggende sulla luna: per esempio, una donna lava i panni, parte della schiuma va in cielo, ed è la luna. E’ solo un esempio. Ma c’è sempre tempo per i racconti dei nonni ai bambini, per andare ad arare i campi…









Qual’è il filo conduttore dei suoi lavori?
Direi che sono sempre io. Io fotografa, che innanzi tutto m’interesso al mio paese, desidero conoscerlo per mezzo della macchina fotografica, e la mia macchina fotografica è il pretesto per conoscere il mio paese e la sua cultura, perché mentre io fotografo parlo molto con la gente, leggo molto su di esso. Sopra Juchitan ho letto molto: sopra le leggende.
Quando sentii di conoscere più o meno il mio paese, pensai di continuare ad essere una viaggiatrice, però essendo me stessa.
Andai negli Stati Uniti, che sono un altro mondo, gli Stati Uniti sono per me la solitudine, non c’è gente per strada…si, l’uomo non era così presente come in Messico. In India c’è molta gente. Ma, non so perché in India dove c’è tanta gente, ho scattato molti paesaggi.



 













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